Novellette e racconti/LIII. Necessità di non ragionare ad alta voce de' fatti suoi per le strade

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LIII. Necessità di non ragionare ad alta voce de' fatti suoi per le strade

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LIII. Necessità di non ragionare ad alta voce de' fatti suoi per le strade
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LIII.


Necessità di non ragionare ad alta voce

de' fatti suoi per le strade.


Mai non dovrebbe alcuno ragionare ad alta voce de’ fatti suoi per le strade perche vi sono orecchi i quali stanno ad ascoltare, e non so da che avvenga che chi ascolta sempre studia se vi sia l’utile suo in quanto vien detto. A’ passatì dì, un giorno ch’era piovuto largamente e si vedeano ancora per l’aria aggirarsi alcuni nuvoloni che minacciavano acqua nuova, uscì di casa un signore con un certo mantelletto vecchiotto, e, secondo il costume suo, andò per provvedere la famiglia del pranzo. Entrò dunque nella bottega del macellajo, e dissegli: Amico mio, tu mi hai servito assai male jeri; e· la carne che mi mandasti si strusse tutta in grassume: fa che tu mi mandi oggi un buon pezzo di coscia, perchè la moglie mia è adirata teco e meco ancora. Oltre a ciò, ti prego, manda al pollajuolo, e abbi da lui una pollastra da lessare e due polli da fare arrosto, e avvia ogni cosa a casa mia in una cesta. Il beccajo gli promise, e intanto vennero in sul ragionare delle nuvole. Credi tu ch'egli piova? dicea il signore al beccajo. Non io, rispondea questi: io veggo sì le nuvole diradate, e il sole già apparisce; non avremo per oggi bisogno di ombrelli. Tu hai ragione, dicea il galantuomo; e poco manca che io non vada di nuovo a casa a mutarmi questo mantello mezzo roso dal tempo: io ho a far visita ad un personaggio a cui non posso presentarmi con questo vecchiume indosso. Poi, stato così alquanto sospeso, replicò: Orsù, sia che vuole, per ora non anderò a casa; io ho altre faccende, e la visita s'indugi a domani: carne, pollastra e due polli a casa, mi ti raccomando: addio; e parte. Avea tutto questo ragionamento udito un certo astutaccio che mettea ogni suo pensiero nel fare dell'altrui suo, e contava quella [p. 91 modifica]giornata per perduta, in cui non avea posto le ugne sulla roba del prossimo, onde entrato nella bottega del macellajo, dice: Quegli ch’è uscito di qua non è egli il tale? e gli nomina uno che non è al mondo. No, risponde il beccajo, egli è anzi il tale. Oh maraviglia! replica il ladroncello, tanto si somigliano quanto un uovo ad un altro uovo; e comincia a cianciare e a ritrovare esempi di tali somiglianze, tanto che, fra il dire e il rispondere, seppe dov’egli abitava, chi era la moglie sua e tutti gl’interessi di lui. Chiuso il ragionamento, esce della bottega il furbo, e va ad un altro beccajo, dove compera un buon pezzo di coscia, e provvedutosi tosto al pollajuolo della pollastra e de’ polli, ne fornisce una cesta, si avvia alla casa del galantuomo e picchia. La padrona si affaccia alla finestra, vede roba, apre. Dice il furbo: Io trovai il marito vostro al beccajo; egli mi manda a voi con queste robe, e dice che questo é il pezzo della coscia che avete desiderata, e ci è anche altro da lessare e da arrostire: prendete, e mi ha detto che dovendo andare a visitare il tal signore, non può col mantello ch’egli ha, che voi gli mandiate per me il nuovo; ed egli mi attende. Glielo dìss’io, risponde la donna, che il tempo miglìorava; ma piuttosto che prestar fede ad una femmina, io credo ch’egli sarebbe andato fuori nudo. Voi avete ragione, dice il ladroncello, e vi ha già fatto giustizia, perchè disse al beccajo, che voi ne l’avevate consigliato bene, ma che non vi avea creduto. La buona donna gongola, va pel mantello e glielo dà, poi dice: Attendi; e tratto fuori un bel fazzoletto di seta, glielo involge dentro, dicendo: Vedi bene che tu ne lo porti con diligenza che non ti caggia e non lo imbratti. Io farò come se fosse cosa mia, risponde l’amico; e così fece, chè, scese le scale, come appunto se il mantello e il fazzoletto fossero stati suoi, ne fece contratto e cavò danari, lagnandosi, cred'io, di non aver fatto buon guadagno per quello che avea speso nel provvedimento della casa.