Novellette e racconti/LIV. Avventura di un Avaro
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LIV.
Avventura di un Avaro.
Trovandosi N. in una sua villetta non molto discosta da Tiene, nelle più calde ore del giorno soletto in una sala a terreno per acconciare e rivedere i fatti suoi, avea versati sopra una tavola alquanti sacchetti di monete, e stavasi noverandole in pace. Leva per caso gli occhi e vede sull’uscio della sala appresentatosi un uomo fra i cinquanta e i sessant’anni, con un ceffo da guardarsene ogni fedel cristiano, guernito le labbra di due mostacchi che di qua e di là gli cadevano verso al mento, cappello alla sgherra, e un grosso archibuso da valle in ispalla e due pistole alla cintola. Questo subìto apparimento fu un ghiaccio al cuore del galantuomo, il quale diede per perduto sè ed i danari in quel punto; e peggiore stimò lo stato suo, quando dietro al primo, vide il secondo e il terzo a comparire, tutti armati alla medesima foggia. Posesi il vecchio la mano al cappello per fare un saluto, e il padrone, veduto l’atto del braccio, stimando ch’egli volesse levarsi dalla spalla l’archibuso, fu per domandargli la vita, se non che pure udendo la voce di un saluto, fece cuore, e levatosi in piedi, sberrettandosi anch’egli, fece a’ tre una grata accoglienza, dicendo che volentieri ne gli vedea (Dio sa come), e che desiderava d’intendere che buon vento ne li avesse quivi condotti. Ma mentre che in tal guisa favellava, spesso la natura gli facea volgere gli occhi alle monete sulla tavola versate, e gli parea di vederle a volare. Di che avvedutosi il vecchio, gli disse: Signor mio, non temete punto di noi, chè non siamo già qui per farvi danno veruno, ma camminando noi a questo gran bollore, siamo mezzo morti di sete. Bene, risposte il padrone, noi beremo, volentieri; attendete. Chi è là? servi, Giovanni, Piero. Non fu verso che alcuno rispondesse, perchè, essendo l’ora strana, chi era andato qua, chi là, e avevano lasciato solo il padrone. Che farò? dicea fra sè il padrone: se io ripongo le monete ne’ sacchi, io do loro il sospetto di stimarli ladroni, e chi sa qual risoluzione prendono queste bestie; se io vo e lascio qui i danari, alla mia venuta appena ritroverò la tavola. Fra tali pensieri dando fra sè l’ultimo addio in suo cuore alle monete, si leva su, immagini ognuno con qual triemito di ginocchia, e va egli medesimo pel vino. Pensa s’egli facea fretta allo spillo della botte perchè gittasse, e se si sbrigò presto a ritornare indietro con fiasco, bicchieri e tovagliuolini. Giunto in sala, gira l’occhio alle monete, e vedendole condizionate come prima, gli si allargò il cuore una spanna e cominciò a versare il vino con un’allegrezza che parea tra fratelli. Poichè i tre compagni ebbero bevuto, disse il vecchio: Abbiamo qui fuori della porta alcuni compagni, i quali, se vi degnate, verranno anch’essi volentieri a ricevere le grazie vostre. Fossero essi mille, disse il padrone, io stesso anderò ad invitarli; e fattosi all’uscio, vede altri tre, anch’essi con le medesime arme, e di là pochi passi altri tre, e tre ancora dopo di loro. Con tutto che fosse alquanto rassicurato, pure non sapendo a qual fine dovesse riuscire la cosa, non potea affatto confortarsi. Intanto erano già tutti nella sala entrati, ed egli offeriva loro carni, capponi e ogni cosa per una colezione; ma essi null’altro vollero, fuorchè pane, cacio e vino: sicchè più volte convenne a lui partirsi per fare tali provvedimenti, e sempre con suo grandissimo stupore ritrovava le monete quali poste le avea. Finalmente la brigata con molte cerimonie prese licenza, esibendosi di pagare quanto avea mangiato e bevuto; ma non volendolo egli, e non arrischiandosi a chiedere che andassero facendo a quell’ora, risposegli il vecchio, che cercavano di uccidere que’ birri i quali pochi giorni prima aveano due de' suoi figliuoli nel caso di Villaverla ammazzati. Così detto, si partirono di là; ed egli con lagrime di tenerezza negli occhi, e con una fretta che non vide mai la maggiore, insaccò le monete di nuovo, facendo tra sè giuramento di spendere senza mai più noverare.