Novellette e racconti/VIII. Se sieno migliori le fatture forestiere o le nostrali

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VIII.
Se sieno migliori le fatture forestiere o le nostrali

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Se sieno migliori le fatture forestiere o le nostrali
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Se sieno migliori le fatture forestiere o le nostrali.


Ci sono certuni i quali debbono credere ch’io sia una sibilla. Mi vengono con polizze domandate cabale, spiegazioni d indovinelli, interpretazioni, scioglimenti di dubbi: fioccano i biglietti da ogni lato; io gli leggo, e non trovando in essi cose a proposito per questi fogli, non rispondo: privatamente non mi posso scusare del mio silenzio a chi mi scrive, non sapendo chi sia stato: alcuno si sdegna e ritocca con polizze nuove, onde ho sempre addosso una tempesta di carte. Ho pensato di scusarmi con certuni in istampa: ognuno si prenda la scusa che va a lui, perch’io dico ora fra me, qual chi semina il grano: germoglierà dove cade.

Alla polizza che mi domanda ch’io giudichi se sieno migliori le fatture forestiere o le nostrali, rispondo che la richiesta è troppo universale, e che le fatture sono di sì varj generi, e io ne so tanto di fatture, quanto le fatture sanno di me. E però mi scusi se in cambio di sentenziare gli dirò una novelletta accaduta pochi anni fa in una nobilissima città d’Italia.

Trovavasi in una città Fefautte, musico di professione, a cui soffiava ne’ polmoni un certo venticello di boria che lo rendea in molte cose nuovo e singolare. Pure, perch’egli sapeva l’arte sua assai bene e cantava dolcemente, avea molte persone che per udirlo lo visitavano la sera, onde in casa sua facevasi una garbata conversazione. Accadde che una sera fra le altre venne in quella compagnia condotto un dottissimo uomo, valente in medicina e buon filosofo, il quale per gli arguti suoi detti e per un certo suo vivere naturale e quasi alla carlona veniva grandemente amato da ogni uomo del suo paese. Era già adunato nella stanza del Fefautte un [p. 15 modifica]bel cerchio di persone, quando per avventura cominciò a cadere il ragionamento sopra le fatture nostrali e sopra le forestiere. Il musico che di oltramare venuto era pochi mesi avanti, si diede ad avvilire quelle de’ nostri paesi e a mettere in cielo con le lodi le inglesi, e dicea: Io per me non voglio altro in vita mia che lavori d’Inghilterra. Cava fuori un oriuolo, ne mostra uno appiccato al muro, e dice: Questi sono d’Inghilterra; fa veder sedie, tavolini, armadi, e capo per capo ritocca: Questi sono d’Inghilterra; e in tal guisa empie gli orecchi di tutti, giurando ad ogni punto che in vita sua non volea mai altro che roba d’Inghilterra. Il medico, che mai non avea parlato, e a cui forse era venuta anche a noja quella vocina di zanzara e si sentia a rodere, balza in piedi e dice: Ora mi avveggo perchè vostra signoria è musico; certo ella ha gittata via la tal parte di sè, perchè non era d’Inghilterra. Cosi detto mettesi il cappello e va ai fatti suoi. — Ogni paese ha le sue fatture particolari che sono le migliori, e la natura è liberale d’ingegno in ogni paese.