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Novissima/Scritti/L'estetica della scena

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Scritti - L'estetica della scena

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Scritti - L'estetica della scena
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[p. 53 modifica]L’ESTETICA DELLA SCENA generale, quando l’arte è in piena e spontanea fioritura non si sente la necessità di formulare ed emanare delle teorie di estetica, che è il prodigio dell’arte compiuta, non la legge scritta a cui obbedisce l’artista nel suo laboratorio. Ai bei tempi di Pericle e di Leone, non c’erano esteti, e l’estetica trionfava nelle opere di Fidia e di Raffaello. Oggi, invece, di estetica si parla volentieri, e gli esteti pullulano e danno la ricetta della bellezza. Se ciò sia un segno di decadenza definitiva o di stanchezza precaria non possiamo dirlo noi, che non sapremmo giudicare imparzialmente il mondo in cui viviamo. Ma che questo estetismo» restringa il campo dell’arte e tenda a soffocarne i germogli, è una realtà flagrante della quale non ci è consentito dubitare.

Per quanto riguarda il teatro di prosa, il pericolo del soffocamento e della restrizione minacciato dagli esteti di professione, dagli esteti ufficiali, consiste nel credere e nel far credere che l’estetica della scena risieda esclusivamente in un’arte fatta di colori smaglianti, di parole alate, di immagini luminose, di atteggiamenti solenni, determinati, creati, direi quasi inventati dalla fantasia d’un autore per comporre una imponenza fittizia a cui si dà il nome di bellezza».

Il grande Tolstoi. scrivendo quel suo bizzarro libro contro l’Arte per l’arte con lo scopo di proclamare Arte vera soltanto quella a base di morale e di religione, si prese la briga di mettere insieme le più accreditate definizioni della bellezza, e dalla deficienza, dall’ambiguità, dall’urto, daile dissonanze di queste definizioni accettate dai sistemi estetici moderni e seminate dai più vari sistemi filosofici succedutisi nei secoli, egli trasse argutamente una conclusione nichilista: se la bellezza è una cosa tanto vaga, tanto inconsistente, tanto variabile, tanto inafferrabile, chiaro che essa non può essere la ragione dell’arte.

Ho ricordato il nichilismo di Tolstoi non per accogliere la sua cavillosa conclusione, ma per contrapporre alla sicumera di coloro che hanno stabilito quale debba essere la bellezza scenica limitandola agli elementi che ho detti, quel capitolo mirabile in cui Leone Tolstoi, a prescindere dalle sue esagerazioni, dimostra largamente come l’idea del bello sia refrattaria a tutte le definizioni, e quindi aggiungo io - a tutti i preconcetti, a tutte le formole, a tutti i programmi.

Senonchè mi si può dire - visto che è cosi mutabile, nel tempo e nello spazio, il criterio della bellezza perché esso risulta [p. 54 modifica]dal diletto di cui l'oggetto piacente è la fonte, come ammoniscono, in fondo, la teoria estetica kantiana e molte altre teorie che filosoficamente le dissomigliano, e visto che «oggi», al teatro di prosa, il diletto maggiore è prodotto dalla combinazione dei colori smaglianti, delle parole alate, delle immagini luminose, degli atteggiamenti solenni, nulla impedisce di concludere che appunto in questa combinazione consista la bellezza scenica «di oggi».

Ebbene, no. Chi asserisce che questa combinazione produce il diletto maggiore non tiene conto che di episodi passeggeri e di tendenze fugacissime e di piccoli fenomeni effimeri che non si ha il diritto di elevare all'importanza di sintomi caratterizzanti tutta una evoluzione dell'estetica, tutta una fisonomia dell'arte in correlazione di una epoca. E sono così passeggeri, così fugaci, cosi effimeri gli episodi, le tendenze, i fenomeni presi in considerazione da taluni come indici di nuovi orizzonti che, in verità, non c'è neppur bisogno di lasciar trascorrere qualche anno per convincersi del loro errore. Ogni più umile frequentatore del teatro di prosa passando, con l'intervallo di pochi giorni, talvolta di poche ore, da uno spettacolo all'altro, e trovandosi in un breve periodo di tempo al cospetto delle più diverse forme d'arte teatrale, se esamina con serenità le emozioni, il godimento, il diletto provati da lui, è al caso di testimoniare in favore della mia affermazione. I dubbii da accampare intorno al grado d'intelligenza, di cultura, d'intellettualità di questo mio testimone sono da me trascurati per la semplice. ragione che i dubbii di tal genere devono essere esclusi dalle discettazioni e dai discernimenti di ordine generale. Se discutiamo in buona fede, è evidente che noi non contempliamo questo o quell'individuo. Alla testimonianza dell'umile spettatore da me invocata sostituite la testimonianza, cioè la voce di tutta quella zona umana la cui sensibilità, quando non sia pregiudicata da uno speciale ambiente e quando abbia avuto agio di acuirsi al continuo afflato dell'attività artistica, è il vero barometro dell'arte, e la mia affermazione sarà ugualmente confortata e «legittimata». Volendo darsi il lusso tanto, per intonarsi allo spirito critico moderno di ricercare quali sieno, nell'epoca nostra, che può parere un'alba e può parere un tramonto, gli elementi costitutivi dell'estetica della scena, è necessario sfuggire alle prevenzioni ed ai dettami degli esteti e rimontare un po' al significato della parola greca di cui si servi Baumgarten per derivarne la denominazione della scienza del bello. In quel significato originario c'è lo spunto dell'idea semplice alla quale si dovrebbe ricorrere per risolvere tutti i problemi dell'arte e a cui mettono capo tutti i problemi concernenti l'estetica della scena. «Sentire» e «far sentire»: ecco l'idea semplice.

Dunque, per ricercare quali sieno, nell'epoca nostra, gli elementi costitutivi dell'estetica della scena bisogna considerare mediante quali mezzi, «oggi», ciò che l'artista sente nel concepire la sua opera divenga sensazione di quella zona dell'umanità a cui l'arte si rivolge. E se, come credo, non mi si concede di omettere la parola «bellezza», dirò subito che la bellezza è conseguita quando la forza dell'artista - e chiamo forza il complesso delle sue intime facoltà creative, tra cui l'ampiezza del pensiero, la profondità delle vibrazioni psichiche, l'originalità dell'indagine o della concezione trova i mezzi, o, se vi piace meglio, gli elementi estetici, per suscitare nel pubblico una sensazione pari al sentimento da cui l'opera scaturisce.

(A scanso di equivoci, soltanto per una transazione che faccio con la speranza d'intenderci più facilmente do l'umile titolo di pubblico a quella pregevole massa umana sulla cui sensibilità coltivabile, come abbiamo stabilito, noi contiamo).

Sicchè, in sostanza, la scelta dei mezzi - che è poi la determinazione naturale degli elementi estetici trae origine dal sentimento dell'autore, da ciò che l'autore «sente», o dallo stato d'animo del pubblico nel quale quel sentimento si deve ripercuotere generando la sensazione? [p. 55 modifica]È incontestabile che non è possibile suscitare una data sensazione nel pubblico d’oggi con gli stessi mezzi con cui la si sarebbe suscitata nel pubblico di cento, di cinquant’anni fa. Inutile la solita citazione dei capolavori e delle opere dei genî per confutare questa verità! Inutile prima di tutto perchè i genî e i capolavori non sarebbero tali se non avessero il privilegio della eccezionalità e se questa eccezionalità non consistesse in una suprema potenza capace di abbattere tutte le barriere che frazionano il mondo e di annullare tutte le date che frazionano i secoli facendo convergere come nell’infinito le linee parallele delle stratificazioni dei tempi e accomunando nella stessa gioia gli uomini più lontani come fa la luce del sole. Ed è inutile poi perchè non è dimostrato e non è dimostrabile che il genio vissuto cento secoli o mezzo secolo prima di noi avrebbe costruite le sue opere proprio come le costruì se invece fosse nato insieme con noi.

Eliminata questa vecchia obiezione, noi possiamo dire che le evoluzioni delle forme artistiche traggono origine più dallo stato d’animo del pubblico — dell’umanità - che dal sentimento dell’artista. Sembra un paradosso, e non è. Si dice: «l’artista di oggi non sente quel che sentiva l’artista di ieri». Premetto che ciò non è esattissimo. Se guardate bene la midolla dell’arte di tutti i tempi — dell’arte della scena specialmente — troverete che sono minime le differenze fra i sentimenti iniziali. Diventano più notevoli le differenze nel lavorio in cui i sentimenti iniziali si trasformano in pensieri, in raziocini, in criterii di vita sociale. Diventano notevolissime nell’esplicazione completa, cioè nella forma, In altri termini, ricostruendo le opere d’arte di tempi diversi e seguendone con l’immaginazione lo sviluppo dal seme al germoglio, dal germoglio al fiore, dal fiore al frutto, si osserva che le differenze si sono accentuate a mano a mano che gli artisti sono passati dall’intimità del loro sentimento all’espressione formale destinata al loro pubblico. Nei pensieri, nei raziocini, nei criteri di vita sociale che già disegnavano le linee principali dell’opera c’è, naturalmente, la riproduzione della società, dell’atmosfera e anche della psicologia di questa o di quell’epoca. Nell’espressione, nell’esplicazione completa, nella forma, nella scelta degli elementi estetici, c’è, come per una esigenza magnetica, qualche cosa che è stata richiesta dallo stato d’animo del pubblico, il quale stato d’animo è poi l’essenza vitale d’una epoca.

Tutto ciò sussiste per ogni arte, è vero; ma per quella del teatro, che ha un contatto immediato col pubblico e verso cui questo pubblico corre con una solennità che amplifica i suoi diritti, le sue tendenze, i suoi istinti, i suoi caratteri di simbolo dell’epoca sua, sussiste in massimo grado.

In che cosa l’estetica della scena di oggi - nelle opere, beninteso, dove la bellezza è la trasmissione perfetta del sentimento importante dell’autore — corrisponde allo stato d’animo del pubblico?

Il «pubblico» non ha più nessuna ingenuità ed è un po’ eccitato e un po’ spossato dall’enorme spettacolo che gli dà quotidianamente il mondo avvolto in una rete di correnti febbrili che incrociandosi spargono di scintille guizzanti come saette la superficie del globo. Inoltre, l’acceleramento della vita odierna ha insinuato in questo pubblico il bisogno d’una maggiore valutazione dell’ora che passa. Il che non significa che egli abbia voglia di limitare le ore di godimento, le ore di emozioni; ma significa bensì ch’egli esige che non un minuto trascorra vuoto. Ed ecco già le indicazioni degli elementi estetici che gli sono necessari. L’indispensabile cura minuziosa di tutti i particolari visibili -scenografia, effetti di luce, abiti, costumi, riproduzioni di tipi - vi dice subito che la «finzione» è dedicata a un pubblico più scettico, più incredulo, più distratto. Ma ciò non riguarda che la superficie, e non basterebbe al pubblico, il quale chiede anche una maggiore esattezza nell’organismo sostanziale di quel che gli si offre. Una coordinazione e una correlazione precisissime fra i moti interiori e quelli esteriori [p. 56 modifica]dei personaggi e una non meno precisa e coerente estrinsecazione verbale possono disporre al convincimento e quindi alla commozione il suo animo non più facile ad accogliere ciò che altri ha pensato, ha sentito, ha voluto, ha creato. E, difatti, questa coordinazione e questa correlazione matematiche e l’adeguato complemento fonetico della parola diventata più succosa, più esatta, più strettamente congiunta al pensiero, ai nervi, alla sostanza del personaggio, più impregnata di linfa umana formano una caratteristica precipua della migliore arte scenica modernissima e hanno eliminati i fronzoli, i riempitivi, le tergiversazioni, le macchinazioni arbitrarie non lasciando sul palcoscenico che tutto quanto è significativo come espressione individuale d’un personaggio o come coloritura d’un ambiente o come segno suggestivo di qualcosa che sia nell’aria o come proiezione d’una idea.

Un’altra caratteristica della migliore arte scenica moderna, un altro elemento estetico, che del resto comprende in certo modo anche quello cui ho accennato, è l’armonia sintetica dei quadri scenici. Essa risponde all’esigenza del pubblico intollerante perfino della vuotaggine d’un minuto e lo distacca bene, altresì, dalla confusione vertiginosa e dalle agglomerate visioni del colossale spettacolo quotidiano. Quale che sia il contenuto d’una commedia, d’un dramma, d’una tragedia, si può distribuire - e si distribuisce, invero, dagli autori più nobili in quadri sinteticamente armonici. I greci erano maestri in questa distribuzione. Tutti gli autori innamorati del classicismo greco ne furono imitatori. Parecchi altri, a traverso i secoli, ritentarono il metodo della distribuzione in quadri non frammentari, ma non conobbero sempre la stringatezza della sintesi e non sempre ebbero il culto dell’armonia classica. E il genio fiero, prorompente e ribelle di Guglielmo Shakespeare e la genialità sbrigliata degli italici improvvisatori della «commedia dell’arte scorrazzarono senza freni di sorta, in magnifico disordine, dovunque l’estro apriva il varco alla gloria. Ma il fastigio del teatro francese dei secoli decimottavo e decimonono e la fresca onda benefica della gaiezza goldoniana ripristinarono stabilmente l’euritmia dell’arte scenica, ed oggi un’estrema raffinatezza di tecnica si va rivelando nel taglio degli atti e delle scene, nel chiudere come in una cornice le parti salienti d’una commedia, d’un dramma, d’una tragedia, nel proporzionare l’episodio alla azione principale, nel prospettare i vari piani del quadro proprio come per ottenere un risultato pittorico e nel dare al personaggio quasi un rilievo plastico rispondente al suo valore umano. Tutto questo è armonia ed è sintesi - ed è, evidentemente, bellezza.

Astrazion fatta dalla potenzialità degli autori che vivono o che nascono oggi, è innegabile che l’arte della scena, praticata così, è composta da elementi estetici che hanno uno spiccato carattere di modernità in quanto sono richiesti dallo stato d’animo del pubblico simboleggiante l’epoca nostra come efficaci mezzi di trasmissione del sentimento che è racchiuso nell’opera artistica. Ogni altra indicazione di estetica della scena è vana. Se il contenuto d’una concezione scenica non può essere espresso che con l’enfasi, con la magniloquenza, con gli atteggiamenti meravigliosi o con la nobiltà del verso e i voli della fantasia e i torrenti di parole sonanti, io non nego a questa necessaria espressione del sentimento gli onori dovuti alla famosa bellezza», perchè la bellezza, in tal caso, è nella stessa necessità dell’espressione, è nella sincerità dei mezzi scelti per l’estrinsecazione del contenuto drammatico. Ma se l’espressione è sovrapposta e se sotto di essa il contenuto si perde o a dirittura non c’è, il parlare di estetica è una puerilità.

«Sentire, e far sentire». Questo è il segreto, questo è il cómpito, questa è la legge dell’estetica per tutte le arti. Questa è la suprema bellezza dell’arte della scena, che quasi tutte le compendia.

Napoli, dicembre 1906.

Roberto Bracco

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FASCINVM

POLITTICO DI G. COSTANTINI

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