O del gran Febo in su Castalia caro
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XXIII
AL SIG. GIAMBATTISTA VECCHIETTI
Che in Amore sono tormenti.
O del gran Febo in su Castalia caro,
Vecchietti, e per tant’anni a me diletto,
Deh come avvien, che non ne scenda in petto
Dolce d’Amor, che non riesca amare?
5Il suo favor di mille affanni è reo,
Lo sdegno danna a lagrimare eterno;
E se il mio canto oggi si prende a scherno,
Almen sia degno di credenza Orfeo.
Famoso amante: ei dell’amata sposa
10Vedovo fu, quando vie più gioiva;
E per lei sceso alla Tartarea riva,
L’infernale empietà fece pietosa.
Già l’ombre oscure abbandonava, e lieto
Già di Febo godeva i rai celesti,
15Quando, perverso amor, tanto il vincesti,
Che egli pose in obblio l’aspro decreto.
E quinci all’infelice i bei sembianti,
Per più non rivederli, ecco rapiti:
Sommo tormento; onde deserti liti,
20Ond’ermi gioghi egli inondò co’ pianti.
Pianse così, che di cordoglio afflisse
L’orride belve ne i selvaggi monti,
Ed obbliaro giù dall’alpe i fonti
Correre al mar, mentre piangendo ei disse:
25Se più mirar meco non è speranza
Vostri bei rai, Stelle d’amore ardenti,
Deh per pietà de i fieri miei tormenti
Se ne tolga da me la rimembranza.
Ma che dico io? Solo contemplo il duolo,
30Solo ne’ guai soglio trovar conforto,
E solo aita porgo al cor già morto,
Quando a voi col pensier men vegno a volo.
Dico fra me: qui lampeggiò quel riso;
Qui fûro al vento quelle chiome sparte;
35Qui disvelava il seno: e con quest’arte
Torna alla vita il cor, che giacque anciso.
Ove rivolse de’ begli occhi un giro,
Ove fermossi de’ bei piedi un passo,
Ivi m’acqueto; e lagrimoso e lasso
40Nell’immensa miseria ivi respiro.
Ahi lasso me! già di goder fui degno
L’alta beltà, che oggi l’abisso onora:
Di lei miei spirti già mantenni, ed ora
Con larve immaginate io mi mantegno.
45Servi d’amor, che con catena acerba
Soavemente a suo voler vi mena,
Leggete omai nella mia lunga pena,
A che duri tormenti ei ci riserba.