Odi barbare/Delle Odi Barbare Libro I/Miramar

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Delle Odi Barbare Libro I
Miramar

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MIRAMAR


O Miramare, a le tue bianche torri
attedïate per lo ciel piovorno1
fósche con volo di sinistri augelli
vengon le nubi.4

O Miramare, contro i tuoi graniti
grige dal torvo pelago salendo
con un rimbrotto d’anime crucciose
battono l’onde.8

Meste ne l’ombra de le nubi a’ golfi
stanno guardando le città turrite,
Muggia e Pirano ed Egida e Parenzo2
gemme del mare;12

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e tutte il mare spinge le mugghianti
collere a questo bastïon di scogli
onde t’affacci a le due viste d’Adria,
rocca d’Absburgo;16

e tona il cielo a Nabresina lungo
la ferrugigna costa, e di baleni
Trieste in fondo coronata il capo
leva tra’ nembi.20

Deh come tutto sorridea quel dolce
mattin d’aprile, quando usciva il biondo
imperatore, con la bella donna,
a navigare!24

A lui dal volto placida raggiava
la maschia possa de l’impero: l’occhio
de la sua donna cerulo e superbo
iva su ’l mare.28

Addio, castello pe’ felici giorni
nido d’amore costruito in vano!
Altra su gli ermi oceani rapisce
aura gli sposi.32

Lascian le sale con accesa speme
istorïate di trionfi e incise
di sapïenza. Dante e Goethe al sire
parlano in vano36

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da le animose tavole: una sfinge
l’attrae con vista mobile su l’onde:
ei cede, e lascia aperto a mezzo il libro
del romanziero.40

Oh non d’amore e d’avventura il canto
fia che l’accolga e suono di chitarre
là ne la Spagna de gli Aztechi! Quale
lunga su l’aure44

vien da la trista punta di Salvore
nenia tra ’l roco piangere de’ flutti?
Cantano i morti veneti o le vecchie
fate istriane?48

― Ahi! mal tu sali sopra il mare nostro,
figlio d’Absburgo, la fatal Novara.3
Teco l’Erinni sale oscura e al vento
apre la vela.52

Vedi la sfinge tramutar sembiante
a te d’avanti perfida arretrando!
È il viso bianco di Giovanna pazza
contro tua moglie.56

È il teschio mózzo contro te ghignante
d’Antonïetta. Con i putridi occhi
in te fermati è l’irta faccia gialla
di Montezuma.60

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Tra boschi immani d’agavi non mai
mobili ad aura di benigno vento,
sta ne la sua piramide, vampante
livide fiamme64

per la tenèbra tropicale, il dio
Huitzilopotli, che il tuo sangue fiuta,
e navigando il pelago co ’l guardo
ulula — Vieni.68

Quant’è che aspetto! La ferocia bianca
strussemi il regno ed i miei templi infranse;
vieni, devota vittima, o nepote
di Carlo quinto.72

Non io gl’infami avoli tuoi di tabe
marcenti o arsi di regal furore:
te io voleva, io colgo te, rinato
fiore d’Absburgo;76

e a la grand’ alma di Guatimozino
regnante sotto il padiglion del sole
ti mando inferia, o puro, o forte, o bello
Massimiliano. — 80



Note

  1. [p. 893 modifica]Mi tengo di aver rinnovato un bell’aggettivo dantesco dal verso 91 del xxv Purgatorio, se non che io in vece di piorno vorrei poter leggere e senza esitazione scrivo piovorno, che è la forma integra, come leggono il codice Poggiali [p. 894 modifica]e uno dell’Archiginnasio di Bologna, e come parmi d’aver sentito dire alcuna volta in contado non so piú se di Toscana o di Romagna. Aer piovorno vale, nell’interpretazione del Buti, pieno di nuvoli acquosi: altro, in somma, da piovoso.
  2. [p. 894 modifica]Per i luoghi dell’Istria ricordati in questo verso e per la punta di Salvore, pag. 856, v. 9, son certo di far cosa grata ai lettori italiani rimandandoli a un libro molto buono, con rappresentazioni fotografiche ammirevoli, di Giuseppe Caprin, stampato in Trieste nel 1889, Marine istriane: libro che mi fa spesso tornare il pensiero, con desiderio sempre piú acceso, a quella bellissima e nobilissima regione, tutta romana e veneta della gran patria italiana.
  3. [p. 894 modifica]Alcuni ricordi del castello di Miramar in questi versi han forse bisogno di schiarimento. Nella stanza di studio di Massimiliano, costruita in guisa che rassomigliasse la cabina della contrammiraglia Novara che lo trasportò al Messico, sono i ritratti di Dante e di Goethe presso il luogo ove l’arciduca sedeva a studiare; sta tutt’ora aperta sul tavolino un’antica edizione, che parmi di ricordare assai rara e stampata ne’ Paesi bassi, di romanze castigliane. Nella sala maggiore sono incise piú sentenze latine: memorevoli, per il luogo e per l’uomo, queste: Si fortuna iuvat caveto tolti — Saepe sub dulci melle venena latent — Non ad astra mollis e terris via — Vivitur ingenio, caetera mortis erunt.