Oggi è un'ora di viaggio
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Silvio GALLIO
RFI - Direzione Compartimentale Movimento
Reparto Gestione Circolazione- Bologna
La Bologna-Milano oggi è un'ora di viaggio, ma centocinquant'anni fa, all’epoca in cui si cominciava a parlare di strade ferrate, l’Italia era una costellazione di Stati legati e divisi da interessi economici, politici, dinastici. E dunque, cosa vedevano quanti allora videro nel futuro i trasporti su rotaia? Con uno ricerca accurata di periodici e atti governativi e corrispondenze, questo articolo porta alla luce la storia, inaspettatamente cosmopolita e complessa, di un asse ferroviario che avrebbe potuto in realtà svilupparsi in mille direzioni diverse. Gli austriaci che governavano il Lombardo-Veneto, per esempio, volevano collegare Vienna a Livorno escludendo la nemica Torino, dove i Savoia studiavano il modo di unire il Piemonte all’Emilia, tagliando fuori Milano. Nello Stato pontificio, intanto, c’era chi riteneva “inutile” che la linea tra Ancona e Bologna si prolungasse fino alla “straniera” Modena. E mentre i governi lottavano per accaparrarsi il passaggio del favoloso treno “Valigia delle Indie”, si metteva mano a complessi trattati internazionali per avviare l’avventurosa costruzione del ponte sul Po Il tutto in un rimbalzare di voci e proposte, idee e controversie che seguivano il gioco dei poteri e degli interessi, degli investimenti economici e delle ragioni di Stato. L’articolo trae spunto dal volume ”Oggi è un’ora di viaggio”, scritto dallo stesso autore, e pubblicato dalla Casa Editrice “CLUEB” di Bologna.
Dal 187 a.C. una delle vie di comunicazione più importanti nella storia del nostro Paese è stata la Via Emilia, attraverso la quale milioni di persone: condottieri, soldati, mercanti e popolo si sono spostati all’inseguimento dei loro obbiettivi; la guerra, la ricchezza, la tranquillità. Dalla metà del XIX secolo una delle vie di comunicazione ferroviaria più importanti del nostro Paese la affianca per rendere più veloci e sicuri i trasporti di merci e persone.
Ma è stata dura! Dopo il Congresso di Vienna che restaurò l’Europa politica dopo Napoleone I, l’Italia era ancora frazionata, ricordiamo, fra:
- il Regno di Sardegna, che comprendeva più o meno gli attuali Piemonte, Val d’Aosta, Liguria e Sardegna oltre alla Savoia e alla contea di Nizza, oggi francesi, abbastanza indipendente e politicamente sostenuto dalla Francia;
- il Regno Lombardo-Veneto direttamente incorporato nell’Impero austriaco; Vienna controllava per via dinastica anche
- il ducato di Parma, Piacenza e Guastalla,
- il ducato di Modena e Reggio,
- il ducato di Lucca
- il granducato di Toscana;
- lo Stato Pontificio variamente sostenuto dalle due Potenze continentali, Francia e Austria.
- il Regno delle due Sicilie in cui si sentiva anche la presenza politica britannica, sempre attenta al controllo navale del Mediterraneo e delle vie delle Indie.
Il quadro politico internazionale italiano era, quindi, caratterizzato dalla preminenza degli interessi austriaci che - ad esempio- vedevano il Ticino e il Po non come vie d’acqua ma come confini da presidiare. Il Granduca di Toscana centralizzava su Firenze i terminali delle sue ferrovie. Il Papa, Gregorio XVI i treni non li voleva proprio ritenendoli opera del demonio e suscitatori di tisi per effetto delle correnti d’aria generate. I ducati (Parma e Modena) titubavano, memori delle insurrezioni degli anni ’30; il Regno di Sardegna era tanto fermo che “Al principio del 1848 non eravi colà in esercizio un solo chilometro di strada”1
Eppure i progetti si susseguivano. E provenivano non da politici e tecnici di seconda fila. Uno dei primi fu Luigi Tatti. Architetto e ingegnere e progettista di linee ferroviarie, Tatti nel 1837 traduce il “Manuel du constructeur des chemins de fer, ou Essai sur les principes généraux de l’art de construire les chemins de fer dell’ingegnere francese É. Biot. Tatti, a pag. 170, inserisce nel testo in italiano una interessante “nota 1“ che già descrive le principali necessità ferroviarie dell’Italia. Ne riporto qualche brano:
In Italia, fra Torino e Genova, Milano e Venezia, Livorno e Firenze, Roma e Napoli. Ove questi primi ed essenziali tentativi prosperassero si potrebbero tentar linee che percorressero la penisola in tutti i sensi, ed alle quali la sua fisica conformazione si presterebbe. Si unirebbe Torino a Milano e Venezia, e per una linea parallela oltre il Po da essere congiunta alla prima con tratte parziali, si unirebbe Torino stessa a Piacenza, Parma, Modena e Bologna. Da ivi lungo l’Adriatico si scenderebbe a Rimini, Sinigaglia, Ancona, Barletta, Brindisi, Otranto: lungo il mar Tirreno da Genova un’altra linea toccherebbe Lucca, Pisa e Livorno, e quindi attraverso le maremme toscane, Civitavecchia e Roma, dove troverebbe il suo prolungamento in quella da Roma a Napoli per le Paludi Pontine, e da Napoli a Nocera e Salerno […] 2
Notevole è proprio in quello che non si vede. Non sono descritte linee verso le altre nazioni e non leggiamo di nessuna linea dal Lombardo-Veneto verso sud. Nel 1845 il conte Ilarione Petitti di Roreto, Consigliere di Stato ordinario di S.M. Sarda e Socio di varie Accademie, si arrotolò metaforiche maniche ed esplose il suo “Delle strade ferrate italiane e del miglior ordinamento di esse, Cinque Discorsi” 3 un corposo testo di 652 pagine, fondamentale per lo studio economico e politico delle linee ferroviarie del nostro Paese di cui all’epoca si parlava come possibili, probabili anzi certe. I “Cinque Discorsi” di Petitti prendevano in osservazione i vari aspetti della progettazione, della costruzione e della gestione delle linee ferroviarie. Da una Torino isolata dal resto della Penisola dalla politica degli Asburgo, Petitti indicava “quali” erano le linee da costruire in Italia. In un’Italia ideale, senza confini. Questo non poteva essere accettato da una comunità di staterelli la cui politica era eterodiretta da Francia e Austria.
E infatti le reazioni ci furono, oscillanti fra l’apprezzamento, ma ironico e pieno di “distinguo”, in “Del danno che avverrebbe allo Stato Pontificio da qualunque strada ferrata fra la Toscana e l’Adriatico oppure in “Sulle strade ferrate nello Stato pontificio, entrambi scritti dal papalino Benedetto Blasi (Segretario della Camera di Commercio di Civitavecchia), e il furibondo e sprezzante articolo che l’Osservatore Triestino, organo del Lloyd di Trieste (allora austriaca “perla dell’Adriatico”), propagò dalle sue colonne nel gennaio successivo.
Non era (solo) patriottismo imperiale; uno degli obiettivi era il leggendario collegamento “La Valigia delle Indie” che doveva unire Londra con le sue colonie indiane. Il solo passare per qualche città ne doveva, nell’immaginario della rurale Italia dell’epoca, arricchire come nawab i fortunati abitanti, lambiti dalle dovizie del misterioso Oriente.
E anche Trieste ambiva a diventare il terminale terrestre per il passaggio mare-ferro.
Con ottima sintesi E. Petrucci riassume: “Nell’articolo si sosteneva la centralità del porto di Trieste anche per gli interessi italiani e si suggeriva, senza molti convenevoli, alle provincie pontificie e toscane di darsi da fare per collegarsi con l’Austria ribadendo la loro dipendenza dagli interessi imperiali. Nello stesso articolo si trattavano con disprezzo le aspirazioni piemontesi a collegarsi con il Lombardo-Veneto […]” 4
Nel 1851, finalmente, Vienna sembrò rendersi conto del rischio di isolamento a nord del Po. I ducati e la Toscana necessitavano di una maggiore assistenza economica. E militare. Il regno dei Savoia, inoltre, persa la Prima Guerra d’Indipendenza, si stava riprendendo. Un nuovo Re e un nuovo Primo Ministro tessevano alleanze con la Francia. Questa poteva facilmente portare aiuto al Piemonte; dalla base navale di Tolone si arrivava a Genova senza problema alcuno mentre l'Imperial Regia Marina era ancora confinata nell’Adriatico.
Se Vienna avesse voluto una ferrovia per collegarsi commercialmente con il centro-sud dell’Italia la logica avrebbe portato alla linea Venezia-Bologna e da lì a Prato e Firenze. Invece nel maggio del 1851 venne stipulata la prima Convenzione fra i “Cinque Eccelsi Stati”: Impero austriaco, Stato pontificio, Ducato di Parma e Piacenza, Ducato di Modena, Arciducato di Toscana.
La linea che veniva progettata sarebbe andata da Piacenza a Bologna passando per Parma, Reggio e Modena, avrebbe scavalcato l’Appennino o verso Porretta e Pistoia oppure verso Prato (non era ancora deciso). Una diramazione proveniente da Borgoforte, sul Po a pochi chilometri da Mantova, sarebbe arrivata a Reggio Emilia. Inoltre Vienna, per suo conto avrebbe collegato Milano a Piacenza e (nota bene) Mantova con Borgoforte. È questa bretella che ci fa insospettire di più.
Il vero terminale “sud” della linea non era Pistoia e nemmeno Firenze. Era il porto di Livorno. Gli Asburgo volevano arrivare rapidamente al Tirreno in una Toscana dinasticamente legata a loro. Ma i due punti terminali “nord” quali erano? Milano, ricca ma piuttosto lontana, e Mantova molto meno ricca ma - guarda caso - facente parte, con Peschiera, Verona e Legnago, del famoso “Quadrilatero Austriaco”.
Una serie di fortezze, ottimamente equipaggiate con uomini e armi, se ben collegate con Livorno poteva permettere all’Imperial Regia Marina asburgica: a) un attacco navale per isolare la Sardegna dal resto del Regno dei Savoia, b) contrastare un’azione francese e c) colpire le coste piemontesi della Liguria. Nonostante questo aspetto anti-italiano, l’entusiasmo per la nuova linea ferroviaria riecheggiava in pubblicazioni e riviste: Ferrovia da Milano verso Piacenza.
In esecuzione delle condizioni stabilite dalla convenzione 1 maggio 1851, fu impresso e viene con energia proseguito il tracciamento della parte della ferrovia centrale italiana, la cui esecuzione spetta all’Austria, oltre Lodi, Casalpusterlengo e Codogno sino alla sponda sinistra del Pò presso Piacenza, con riguardo alla futura sua diramazione, per essere congiunta colle ferrovie piemontesi. Cosi pure si provvede contemporaneamente che sia tracciata la ferrovia da Mantova verso Borgoforte, la quale andrà a congiungersi alla ferrovia centrale; circa la costruzione d’un ponte oltre il Pò furono fatte non solo le necessarie misurazioni, ma fu esaminato il terreno per l’escavo delle fondamenta dell’ideato ponte colossale, onde poi proporre quel modo di costruzione che si dimostrerebbe più adatto alle circostanze 5.
Sfortunatamente, la prima concessionaria, la “Società della Strada Ferrata dell’Italia Centrale”, economicamente poco attrezzata, dopo aver intrapreso i lavori da Piacenza a Bologna, si trovò in grandi difficoltà nella ben più impegnativa tratta appenninica. Per cinque anni i lavori si trascinarono stancamente fra discussioni e proteste, anche da parte di abili tecnici che anonimamente segnalavano:
In mezzo al disordine che regna in quei lavori, si rimarca un affaccendarsi d’ingegneri, incerti sugli studi che vanno tentando, e più discordi ancora sul loro perfezionamento. Sembra impossibile, ma pure è un fatto, che impresa così colossale sia stata trattata dalla Commissione internazionale in modo, da muovere giustamente contro di lei le universali lagnanze. 6
Nel 1856 le cose cambiarono. Vienna aveva precedentemente venduto buona parte delle sue linee a un consorzio di finanzieri capeggiati da Rotschild e non era più direttamente interessata al business ferroviario. Accolse quindi favorevolmente l’iniziativa che partì da Raffaele de Ferrari, finanziere legato agli stessi gruppi e creato “Duca di Galliera” dal Papa. Il Duca di Galliera “riunì” i governi interessati i quali,
Dopo aver preso in maturo esame un relativo progetto già presentato da S. E. il Marchese Rafaello de Ferrari Duca di Galliera, danno, trasferiscono e concedono al prefato signor Duca come Mandatario dei signori Concessionarj delle strade di ferro Lombardo-Venete il diritto di costruire e di attivare nel proprio interesse e a loro spese, rischio e pericolo la strada ferrata centrale Italiana 7
De Ferrari raccolse quanto di valido restava della precedente gestione e la nuova “Società per la Ferrovia dell’Italia Centrale” (stesso nome della precedente), dotata di capitali molto più consistenti, riprese i lavori da Milano e da Borgoforte fino a Pistoia. Però la costruzione fu tolta a britannici Fratelli Grandell e affidata ad un bravo ma semi-sconosciuto ingegnere lorenese. Jean Louis Protche.
La figura di Protche è troppo nota nell’ambiente delle rotaie per essere descritta qui; a lui vadano tutto il rispetto e l’ammirazione di noi posteri utilizzatori. Riorganizzata la società e le metodologie di lavoro Protche, pur mantenendo la direzione dell’intera opera, si concentrò sulla tratta appenninica e lì noi lo lasciamo a progettare e costruire quelle ingegnose soluzioni che ancora oggi ammiriamo.
La linea Milano-Piacenza pian piano si distese lungo il parallelo asse della Via Emilia utilizzando quanto era già stato costruito. Qui avviene uno strano fatto a cui finora non ho trovato risposta. Nasce il “Mistero della stazione di Bologna”. Seguitemi.
Dopo accanite discussioni iniziate già nel 1842 e dopo presentazioni di memorie e conferenze,
Nel 1853 si procede al materiale tracciamento della linea con le decisioni intorno alle collocazioni delle grandi stazioni […] Molto opportunamente la discussione cittadina (di Bologna) verte sull’ubicazione della stazione, che la società concessionaria intende collocare in zona esterna, oltre la circonvallazione, tra porta delle Lame e porta San Felice 8
Idee e progetti erano stati presentati, era stato indetto un concorso, ma ancora qualche anno più tardi non era stata presa una decisione, infatti l’Accademico Fortunato Lodi conduce
Studi […] con l’ingegner Giovanni Gavasetti che confluiscono in una pubblicazione in folio, editorialmente prestigiosa databile intorno al 1857. In questa sede si discetta sulle diverse ipotesi giungendo a individuare una soluzione ritenuta la più conveniente 9.
Ma allora mi pongo la seguente domanda: “perché nell’art. 2 della Concessione del 1856, (n.b. un anno prima degli studi Lodi-Gavasetti), possiamo leggere”:
“§ 2. Agli effetti del presente atto di Concessione la strada centrale dovrà ritenersi divisa in tre tronchi principali: Il primo dalla sponda destra del Po presso Piacenza fino a Bologna, compresa la stazione già esistente in questa ultima città.” (?)10
Poiché non credo che un Totò ante litteram abbia “venduto un Colosseo” a un sprovveduto Duca di Galliera, probabilmente si tratta solo di accordarsi sul valore delle parole “già esistente”. I lavori per la linea erano iniziati nel 1853. Non era possibile che non si fosse deciso dove costruire Bologna Centrale. È possibile, invece, che in qualche punto fosse stato costruito un piazzale ma che gli edifici innalzati riguardassero la parte più specificamente ferroviaria: (Movimento-Trazione-Lavori) mentre tutta la città era più interessata, dibatteva e si interrogava su dove e come sarebbe sorto il Fabbricato Viaggiatori.
Ancora il 12 agosto 1857 il papa Pio IX, in visita ai suoi possedimenti emiliano- romagnoli, posava la prima pietra del ponte della ferrovia. Attenzione, la “prima” pietra venne posta sulla settima pila di un ponte che - quindi - era già costruito per metà.
Nel 1859 l'Osservatore Bolognese, in una corrispondenza datata 9 aprile, riferiva che i lavori della via ferrata centrale erano molto bene avviati
Giacché, dalla stazione al Reno, l’argine della via è compiuto e sopra esso già è posto il binario principale, in guisa che serve al trasporto delle ghiaie ed altri materiali. La stazione poi, che è uno dei lavori più importanti, estendesi sopra una superficie rettangolare di più che 15 ettari, è anche molto innanzi nelle varie fabbriche che debbono farne parte. Dalla stazione al Reno sono condotte a termine tutte le opere a mano; e tra esse il soprapassaggio a Bertalia, il ponte sul torrente Raveno deviato, e quello sul canale Navile. Pressoché finito è pure il gran ponte sul Reno, composto di 10 archi da venti metri di corda. Nella porzione di linea al di là del Reno, nella provincia di Bologna, il binario è posto fino alla via provinciale di Persiceto e dalla Samoggia a Castelfranco; e sono pure finite pressoché tutte le opere e le stazioni secondarie. 11
Il “Raveno” dovrebbe essere il Ravone, torrentello che lambisce lo scalo merci cui dà il nome. Il ponte “San Felice”, sul Reno, è davvero dotato di archi con una corda di 20 metri. Ma gli archi sono 15 e non 10. È controllabile in questa antica pubblicazione, una pagina della planimetria della Porrettana (il ponte serviva entrambe le linee) anno 1891, gentilmente messa a nostra disposizione da Alessandro Tuzza nel suo interessante website www.trenidicarta.it/.
In basso a sinistra, quella che sembra una bianca palizzata in campo rosso, è la sagoma del ponte. Ogni “palo” un’arcata. Per una migliore lettura dell’immagine fare riferimento al website indicato. Ne vale davvero la pena.
I lavori procedono. La ferrovia apre i battenti e i primi treni cominciano a correre. Quando? Una pubblicazione del 1927 12 ci dice che l’inaugurazione è avvenuta il 21 luglio 1859 13. Pochi giorni prima, il 12 luglio con l'Armistizio di Villafranca si era fermata la Seconda Guerra di Indipendenza.
Però ho trovato un rendiconto economico che dice:
La sezione da Piacenza a Bologna, aperta al pubblico servizio il 4 luglio 1859, ha prodotto nel 1860 […]. 14
E della ferrovia Centrale si sentiva davvero il bisogno se, proprio il giorno dopo, la sera del 5 luglio 1859, un Proclama della Giunta cittadina di Bologna annunciava che:
Domani arriverà col primo convoglio della strada ferrata di Modena alle ore 12½, un battaglione bersaglieri piemontesi che, sotto il comando del generale d’ Azeglio, partito oggi stesso da Torino per Firenze, viene fra noi a mantenere l’ ordine e a porgere così un nuovo pegno dell’affetto che S.M. il re Vittorio Emanuele nutre per queste provincie. 15
Quello che a me, povero capostazione oberato dai treni, riempie di giallastra invidia è quell’incipit del Proclama: rileggiamolo: “[...] arriverà col primo convoglio da Modena alle 12½. Siamo a Bologna Centrale e il primo treno sarebbe arrivato a mezzogiorno e mezzo! Ah, che vita il capostazione!
Sulla base di questa e di poche altre scoperte mi sono permesso di recuperare un Orario del 1859 (puramente indicativo, sia chiaro).
E poiché oltre che capostazione sono Dirigente Centrale, per deformazione professionale ho disegnato un esempio di un possibile grafico (all’epoca il D.C. non esisteva, in Italia è arrivato nel 1927) del traffico ferroviario di quell’anno lontano.
Un raffronto? Eccolo. Il grafico (ore 18-24) del 29 maggio 2001. Stessa linea, stessa tratta.
Un paio d’anni dopo, l’orario ferroviario ufficiale per i treni viaggiatori -1861- sulla linea Piacenza-Bologna mostrava quattro coppie di treni più una coppia Parma-Piacenza.Il successivo Orario del marzo 1862, aperta la linea di Ancona l’autunno precedente, mostra altre due coppie di treni attestate a Bologna. Il traffico cominciava a diventare infernale
Il 14 novembre 1861 Bologna venne unita anche a Milano con l’apertura del ponte sul Po e il raccordo con la stazione di Porta Tosa. Per la precisione i ponti furono inizialmente ben tre 16 il primo ponte era una struttura di legno, costruita quasi certamente in fretta, per poter far passare i treni entro i termini di tempo stabiliti dalla Concessione e di cui crollarono 195 metri il 18 ottobre 1863 per una piena del fiume; il secondo era un altro ponte in legno (anch'esso crollò per la piena) e che serviva per il movimento dei materiali e delle maestranze che lavoravano al terzo ponte, quello “vero” in ferro, progetto dell’ing. Moreau e dal 1861 affidato per la costruzione alla francese “Parent, Schaken, Caillet e C.” Il ponte in ferro verrà aperto nei primi mesi del 1864.
Nel 1864, sul lato nord dell’attuale Piazza Repubblica, venne aperta anche la stazione di Milano Centrale (oggi scomparsa), conseguentemente furono chiuse e smantellate sia la stazione di Porta Tosa che la tratta da questa al Bivio Acquabella. Il bivio smistava i treni dalla Centrale verso Venezia o verso Bologna. Dalla Centrale la linea percorreva il rettifilo dall'attuale via Tunisia a Via Sidoli alla fine della quale si incontravano i deviatoi di bivio Acquabella. Verso Bologna la linea piegava a sud attraversando l'attuale viale Corsica (oggi ai numeri 40-44) e l'area del Macello-Mercato del Bestiame. Qui si possono ancora vedere dei resti nel punto in cui venne in seguito costruito un raccordo con lo scalo di Porta Vittoria che rimase attivo fino agli anni '70 del secolo scorso.
Possiamo porre fine alla fase “eroica” della linea Milano-Piacenza con l’inaugurazione del ponte sul Po che avvenne alla presenza del Principe Ereditario Umberto il 3 giugno 1865.
Da questo momento il treno comincia a perdere la sua aura di nuovo mostro benefico e di occasione per lotta politica. Aride cifre impilate in irregolari colonne contabili sbiadiscono rispetto ai primi anni, quando le battaglie politiche e la vis aedificandi permeavano la vita sociale italiana traboccando nella polemica patriottica e nella voglia di unità. I “pentoloni di acqua bollente”diventano parte del paesaggio che si sta, a fatica, industrializzando. Ancora un anno e, nel 1866, con la Terza guerra d’Indipendenza, l’Italia arriverà, quasi, alla completa unità.
L’Italia e la Milano-Bologna, dunque, sono nate e cresciute assieme. Un arretrato Paese basato su un’agricoltura non ricca è diventato una grande realtà industriale. Parallelamente, il sistema ferroviario ha cercato, spesso purtroppo senza riuscirvi, di mantenere il passo. Sembra che -finalmente- oggi stiamo per assistere a una ripresa.
Chi denigra lo stato della linea, molto opportunamente dimentica (oppure non conosce) da dove siamo partiti. Chi afferma che nulla è stato fatto ha –ora- un inizio di ricordo e nessuna scusa: il raddoppio (già da allora previsto ma non subito realizzato), il raddoppio del ponte sul Po, i miglioramenti delle massicciate e dell’armamento, l’elettrificazione, i nuovi sistemi di blocco, la segnaletica, la gestione del traffico. E qualche piccola soddisfazione come il record "mondiale" di velocità ottenuto negli anni Trenta e il primo importante esperimento di ripetizione dei segnali in macchina con boe magnetiche di G. Minucciani. Quando molte locomotive ancora sbuffavano fumo e vapore.
Negli anni siamo arrivati ai 300 e oltre treni al giorno su una linea di oltre 200 chilometri. Treni con lunghezze, velocità e funzioni tanto differenti da creare grandi problemi di gestione del traffico. Non insistiamo oltre, basta confrontare i due grafici.
Il 13 dicembre 2008 abbiamo assistito alla festosa inaugurazione della parallela linea AV/AC. I treni inaugurali in un’ora e pochi minuti sono arrivati a Bologna da Milano e vi sono ritornati nello stesso tempo. Nello stesso tempo in cui a metà del secolo scorso si andava da Modena a Reggio Emilia. Nello stesso ducato.
La successiva mattina di domenica 14 dicembre, i treni “non celebrativi” hanno cominciato un meno appariscente ma altrettanto rapido servizio di quotidianità, accorciando ulteriormente l’Italia, avvicinandone gli abitanti.
Note
- ↑ An., Annali universali di statistica, economia pubblica, geografia, storia, viaggi e commercio”, Volume XVII, Serie II, Luglio, Agosto e Settembre 1848, Milano, pag. 95.
- ↑ L'Architetto delle Strade Ferrate, ovvero Saggio sui Principi Generali nell'arte di formare le strade di ruotaje in ferro, A. Monti, Milano, 1837. (tratto in italiano da Luigi Tatti). Pag. 170.
- ↑ Delle strade ferrate italiane e del miglior ordinamento di esse. Cinque Discorsi di Carlo Ilarione Petitti”, Capolago, Tipografia e Libreria Elvetica, 1845.
- ↑ E. Petrucci, Il '48 e la questione ferroviaria nello Stato pontificio. Saggio storico bibliografico, in “Storia e futuro”, 1° aprile 2002. (nel website: http://www.storiaefuturo.com/arretrati/2002/01/01/011/0005.html).
- ↑ G. Sacchi, in “Annali universali di statistica, economia pubblica, geografia, storia, viaggi e commercio”, Volume XXXI della Serie II, Luglio Agosto e Settembre, Milano, 1852, pag. 330
- ↑ An. in”Giornale dell'ingegnere, architetto ed agronomo”, Volume 1, Fascicolo 10, novembre 1853, pag. 221.
- ↑ An., Concessione della strada ferrata centrale italiana, in “Giornale dell'ingegnere, architetto ed agronomo”, aprile 1856, Volume 3, pagg. 616-619.
- ↑ Lupano, A Dal Zoppo, Nascita di Bologna, Centrale delle correnti ferroviarie, in R. Dirindin - E. Pirazzoli (a cura di), “Bologna Centrale, Città e ferrovia tra metà Ottocento e oggi”, CLUEB, Bologna, 2008, pag. 15.
- ↑ Ibidem, pag.19.
- ↑ An., Concessione della strada ferrata centrale italiana, in “Giornale dell'ingegnere, architetto ed agronomo”, aprile 1856, Volume 3, pagg. 616-619.
- ↑ An. in “La civiltà cattolica”, Anno X, vol. II, serie IV, Roma, 1859, pag. 232.
- ↑ Cfr. “Sviluppo delle ferrovie italiane dal 1839 al 31 dicembre 1926”, Tipografia ditta Ludovico Cecchini, Roma, 1927.
- ↑ Si noti che fra qualche mese, quindi, saranno proprio 150 gli anni dalla messa in esercizio della tratta Piacenza-Bologna.
- ↑ An. in “Annali universali di statistica, economia pubblica, legislazione, storia, viaggi e commercio”, Volume VI, Serie IV, Milano, Aprile 1861, pag. 215.
- ↑ Archivio di note diplomatiche: proclami, manifesti, circolari, notificazioni, discorsi, ed altri documenti autentici, riferibili all'attuale guerra contro l'Austria per l'indipendenza italiana, Milano, F. Colombo librajo, 185, pag. 374.
- ↑ Cfr. Annuario scientifico ed industriale, Treves, Milano, 1866, pag. 588
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- Testi in cui è citato il testo Sulle strade ferrate nello Stato pontificio
- Testi in cui è citato Benedetto Blasi
- Testi in cui è citato il testo Convenzione fra alcuni Stati italiani per la costruzione della Strada Ferrata dell'Italia Centrale