Del danno che avverrebbe allo Stato Pontificio
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DEL DANNO CHE AVVERREBBE
ALLO
STATO PONTIFICIO
da qualunque strada ferrata
DI COMUNICAZIONE
FRA LA TOSCANA E L'ADRIATICO
LETTERA
al chiarissimo signor cavaliere
ANGELO GALLI
COMPUTISTA GENERALE DELLA R.C.A.
di
BENEDETTO BLASI
SEGRETARIO DELLA CAMERA DI COMMERCIO
IN CIVITAVECCHIA
______
ROMA
TIPOGRAFIA DELLE BELLE ARTI
1846
Signor Cavaliere Osservandissimo
Quando dal rispettabile comune amico sig. Alessandro commendator Cialdi e dalla vostra gentilezza ebbi dono delle vostre dotte ed accurate riflessioni sulla opportunità delle strade ferrate nello Stato Pontificio e sui modi di adottarle, io già da lunga pezza avea posto mente ad una grave ed importante questione, quale si è quella se nuocerebbe agl’interessi dello Stato Pontificio una comunicazione di esso colla vicina Toscana, sicché Livorno potesse anch’essa trasportarsi sull’Adriatico e commerciarvi. Posta a base delle mie considerazioni quella verità di fatto, di che niuno potrebbe oggimai dubitare, che cioè utilissima e d’immensa prosperità cagione allo Stato Pontificio sarebbe la unione dei due mari Adriatico e Mediterraneo coll’opera di una strada ferrata che, squarciando il seno degli Appennini, per la via più facile e breve ponesse in sollecita e diretta comunicazione Ancona e Civitavecchia; e tantosto nella tenuità del mio ingegno mi persuasi che ove la Toscana, sbucando nello Stato Pontificio, avesse potuto metter capo nell’Adriatico, o sarebbesi per noi totalmente perduto quel benefizio o decurtato d’assai. E dettata, per comando di questa Camera di commercio, il meglio ch’io mi sapessi, una rispettosa istanza alla Santità di Nostro Signore (che a voi piacque ricordare) in cui m’ingegnai dimostrare i danni che allo Stato Pontificio verrebbero dalla suddetta comunicazione colla Toscana, attesi che altri avesse dottamente trattata e sviluppata la questione. Quindi non è a dirsi come io, percorrendo il vostro cosciensoso e diligente lavoro, e trovandovi massime e principii uniformi ai miei, mi augurassi di vedere dalla vostra dotta penna troncata sin dalle radici la disputa in modo da torre altrui la speranza di rinverdirla. E mi godeva l’animo in leggere come, discorrendo i favori che ripromette la presenza dei due mari, proclamate con belle ragioni la utilità della linea ferrata dall’Adriatico al Mediterraneo sia da Ancona a Roma e Civitavecchia, sia dall’un porto direttamente all’altro; e come, riproducendo lo scritto del nostro Cialdi in cui, con ragioni tolte dall’arte sua (nella quale è valente maestro) dimostra essere questo porto per ogni modo preferibile a quel di Livorno, lo rivendicaste alla non curanza al disprezzo cui il sig. Petitti avealo condannato. Ebbi però alla fine a meravigliare a dolermi in veggendo che voi, contento di avere combattuta la idea che la comunicazione fra i due mari s’avesse ad operare nella linea di Ancona a Livorno, quasichè (come giustamente dite) non esistesse il porto di Civitavecchia, non solo non vi occupaste a dimostrare perniciosa allo interesse dei sudditi della Santa Sede ogni comunicazione della Toscana coll’Adriatico; ma nell’ordinamento delle linee, ammetteste, sebbene dubitativamente che: potrebbe forse prender luogo fra le principali coincidenze una diramazione che partendo dalla linea maestra verso Fuligno, si dirigesse per Perugia al confine toscano (pag. 54). La quale diramazione, come quella che porrebbe Livorno e tutta la Toscana in comunicazione coll’Adriatico percorrendo parte della principale via ferrata dello Stato, sembra a me sommamente dannosa. Non io però voglio e posso farvi debito dello avere ammessa si fatta perniciosa diramazione; sia perchè lo stesso dubitar vostro mi da fede che forse per particolari plausibili ragioni vi siete astenuto dal combatterla; sia perchè non ignoro che non avrei a temervi giudice in questa vertenza. Permettete adunque che, quasi a compimento del vostro prezioso lavoro, io ardisca svolgere accademicamente seco voi la questione; ed esservi di eccitamento ed invito con questo scritto ad unirvi meco (che abbisogno di valido sostegno) affinchè il pubblico, a coi danno volgerebbesi la contraria sentenza, conosca l’entità della cosa, e sia guidato a giudicar rettamente de’ suoi veri interessi.
Che il porto di Civitavecchia sia più centrale di quel di Livorno e più di esso a portata di ricevere le le provenienze tutte di levante e ponente: che ne sia megliore la sua costituzione idrografica; che con poca spesa possa essere munito di una rada megliore della livornese, anzi di un’altro vastissimo porto a contatto dell’esistente: in una parola che il porto di Civitavecchia sia da anteporsi a quel di Livorno, egli è un fatto dimostrato con tanta evidenza dal sig. Cialdi e da voi, sicchè non potrebbe la mia debole penna aggiungervi un iota. Ed invano l’ingegnere sig. Giuseppe Bavosi, basandosi macchinalmente sul fatto materiale dello stato di floridezza in cui trovasi il commercio dell’un porto e dell’altro, si decide a niegare al nostro la preferenza: imperciocchè se per le molte ragioni, che qui non è luogo a discutere e fra le quali probabilmente sono pur quelle che a lui insegnò prudenza di non spiegare, il porto di Civitavecchia non profittò degl’immensi suoi vantaggi; non perciò è men vero che questi vantaggi esistano e che, posti a profitto, indurrebbero quella floridezza di commercio che tanto abbaglia il nostro contraddittore, e quella preferenza di fatto ch’egli pur gli niega di dritto. E avrebbe pur dovuto il lodato autore considerare che se quei vantaggi innegabili di megliore posizione geografica ed idrografica sono influenti, come certamente influiscono, al maggior comodo e bene del commercio suscitato e posto in movimento dalle strade ferrate, non v’era ragione per la quale esso (come si dichiara) statista non avesse dovuto dare la preferenza al nostro porto abbenchè inattivo e non paragonabile per rispetto alla floridezza del commercio a quel di Livorno; a meno che egli non volesse considerare le strade ferrate come strumenti inutili e non efficaci a far sorgere le prosperità commerciali anche là dove non esistono affatto; locchè certamente non vorrà sostenere giammai.
Ma questa specialità di vantaggi non entra nella nostra tesi e nel novero dei nostri argomenti, essendochè noi non disputiamo in causa di generale interesse a quale dei due porti meglio si converrebbe la preferenza per la riunione dei due mari, ma disputiamo solo se per lo interesse dello Stato Pontificio sia utile, o indifferente, o dannoso che Livorno abbia una diretta comunicazione nell’Adriatico, posta una eguale comunicazione fra i due mari nello Stato Pontificio.
Io non dovrei qui trattenermi a singolarmente enunciare tutti i vantaggi che deriveranno dalla tanto sospirata riunione dei due mari; essendochè quanti hanno scritto sulla utilità delle strade ferrate in Italia, non escluso voi sig. cavaliere, ne han ragionato. Ma perchè quanto sarò per dire a sostegno del mio assunto intieramente parte dal fatto che utilissima sarà per risultare allo Stato Pontificio questa riunione dei due mari se a traverso delle sue province venga operata; mi è giuoco forza spendere su di ciò qualche parola. Nel che nulla porrò del mio, ma varrommi intieramente delle idee di chi mi ha preceduto, e specialmente del bellissimo discorso sulle strade ferrate negli stati della Chiesa, testè pubblicato con molta dottrina dall’esimio architetto carlo pontani.
Dacchè il commercio di oriente (il massimo dei commerci del mondo) fu rapito alla Italia dal passaggio del Capo di buona speranza e, abbandonato il Mediterraneo, si diè a percorrere il vasto Oceano, noi non abbiamo avuti progressi commerciali di sorta alcuna: che anzi, limitati a scarso commercio interno, abbiamo totalmente perduto l’esterno. Ora però che il commercio asiatico-europeo viene ricondotto a traverso di quel Mediterraneo che ne fu già signore; ora in cui in seguito dei fortunati tentativi dell’inglese sig. Warghorn l’intero commercio fra l’Indie e l’Europa nella principalissima veduta di economizzare particolarmente il tempo, deviando dall’attuale via, prenderà quella dell’Istmo di Suez1: l’Italia, mercè la sua mirabile posizione, entra in una novella età commerciale perchè, centro del commercio stesso, dovrà riprendere gran parte nel suo gran movimento.
Il Mediterraneo (dice giustamente il sig. Pontani)2 che non vasto lambisce le tre parti dell’antico continenti, Europa, Asia, Affrica, e superbo presiede ai progressi della civiltà Europea, all’Asia preconizza un’era novella di vita, all’Affrica una rigenerazione piena anch’essa di civiltà e coltura; e dall’oriente attende nuova una via di aprire al grande Oceano, onde mandare alle più lontane regioni dell’Asia quanti prodotti sappia raccogliere dalla culta ed industre Europa. È pel Mediterraneo adunque che le meridionali nazioni europee trasmetteranno all’Asia ed all’Affrica i loro prodotti; è per la via del Mediterraneo che trarranno quelli di queste due parti del mondo. Quanto traffico quindi, quanto movimento, quanta ricchezza ne’ suoi scali!
Nè a questo movimento del mezzogiorno di Europa, mancheranno di associarsi le nazioni dal Nord, ma scenderanno sull’Adriatico per partecipare del gran commercio ancor esse. Quindi i tre porti maggiori di Triestre, Venezia ed Ancona dobbiam noi considerare come gli emporii più opportuni del Belgio, Francia settentrionale, Alemagna, Austria, gran parte dell’Ungheria e Polonia. Che più? in molte occorrenze arriveranno opportunissimi agli stessi inglesi, quando riunite in una le grandi linee di strade ferrate dall’Atlantico all’Adriatico, potranno speditamente passare pei Belgi, Alemanni meridionali, Svizzeri per fino all’Italia3.
Queste nordiche nazioni però, non saranno soltanto contente di scambiare i propri coi nostrali prodotti nell’Adriatico, ma vorranno accorrere ancora sul Mediterraneo per ivi diffonderli o spedirli all’Asia ed all’Affrica, e da queste trarre ciò che loro abbisogna. Nell’uno e nell’altro caso però ameranno esse di battere quella via che più facile, più breve ed economica si presenti opportunamente ai lor desiderii. E questa via non altra per fermo esser potrebbe che quella la quale ponesse in comunicazione i due mari.
Ove i prodotti del nord vogliansi avviare nel Mediterraneo sia per esservi diffusi, sia per passare nell’Affrica o a ponente d’Italia e d’Europa; è facile il concepire quanto utile sarebbe il traversare dall’Adriatico l’Italia per giungere sull’opposto mare; essendochè la lunga, difficile, pericolosa navigazione attorno alla penisola, sia che si passi pel faro di Messina, sia che si percorra la più sicura e libera linea di altura fra la Sicilia e l’Affrica, non sarebbe economia di spesa che potesse compensare. Quindi è manifesto che le merci suddette, non meno che gli uomini si avvierebbero per la strada ferrata che dall’Adriatico direttamente scendesse al Mediterraneo.
Altrettanto in verità avverrebbe delle merci che si volessero far passare dall’Adriatico all’Asia e viceversa. Imperciocchè è dimostrato essere più agevole ed opportuno di scendere dall’Adriatico al Mediterraneo per proseguire alla volta d’Alessandria di Egitto anzichè correre l’Adriatico che è uno dei mari i più tempestosi per i suoi venti di bora e di scirocco, nonchè pericoloso per la sua ristrettezza, poco fondo, e mancanza di porti nella costa italiana4.
Posti questi fatti innegabili, chi non vede quanta affluenza di passeggieri e di merci sarebbe nei due scali che il Mediterraneo congiungessero all’Adriatico? Chi non si persuade che questi due porti diversebbero l’emporio del commercio di levante e di ponente? Prova dell’immenso vantaggio che si trarrebbe dall’unione dei due mari si è che tutti gli stati d’Italia ambiscono e procurano di effettuarla. Napoli è per operarla colla strada ferrata dalla capitale a Barletta; l’alta Italia l’ha in parte operata mediante la gran linea Ferdinandea da Venezia a Milano, e la compirà col tratto da Milano a Genova; e la Toscana, nol potendo altrimenti, fa suoi grandi sforzi per operarla sbucando nello Stato Pontificio. Ora non è egli giusto che una utilità si grande sia gelosamente custodita, e non se ne faccia sciupo partecipandola altrui?
E ciò con tanta ragione maggiore, in quanto che questo beneficio è privativo, esclusivo del nostro Stato; essendochè, tranne il Regno delle Due Sicilie, niun’altro Stato è bagnato dai due mari. Ma il Regno delle Due Sicilie è troppo all’estremità della penisola, e perciò troppo eccentrico, nè potrebbe nel commercio estero nuocere allo Stato Pontificio, siccome con brevi ma afficaci parole il sig. Pontani dimostra5. Lo Stato Pontificio è invece nel centro dell’Italia e dell’Europa, se per centro vuolsi intendere, non la posizione geografica e materiale rispetto alle altre nazioni, ma il sito più acconcio a comunicare per terra e per mare con esse in proporzione della loro importanza verso gli ordini attuali d’incivilimento. Ove pertanto lo Stato Pontificio operasse questa riunione, non solo non avrebbe a temere la concorrenza di Napoli col quale le altre nazioni non potrebbero commerciare senza più gravi spese; ma ne renderebbe l’utilità a se intieramente proficua.
Si dica lo stesso in riguardo di Genova la quale potrà comunicare coll’Adriatico per mezzo dell’alta Italia. Il passaggio dall’Adriatico a questo scalo del Mediterraneo non potrebbe convenire che per merci. e per uomini destinati alle parti occidentali di Europa. Ma se il traffico abbia a sostenersi coll’oriente, ciò che oggi torna a grandissimo momento per l’Europa tutta, allora possiamo noi dimostrare che la opportunità maggiore è di passare sull’Adriatico da Trieste o Venezia ad Ancona e quindi per terra sino a Civitavecchia da dove dirigersi fino alla punta della Sicilia onde girar quindi per Malta fino ad Alessandria6.
Ecco pertanto quali sarebbero i vantaggiosi resultati che si avrebbero dalla strada ferrata dell’Adriatico al Mediterraneo.
1. Le nazioni nordiche e le loro merci destinate a passare nell’Asia o nell’Africa, o ad essere consumate nel mezzogiorno d’Italia, scenderanno in Ancona e da qui per la via ferrata al Mediterraneo, percorrendo lo Stato Pontificio.
2. I due porti dello Stato diverranno quindi emporii del commercio di esportazione, d’importazione di consumo e di transito delle merci e prodotti del Belgio, della Francia settentrionale, Alemagna, Austria, gran parte dell’Ungheria e Polonia: ed ove la strada ferrata scendesse (come è assai probabile) dalla Svizzera a Milano e da Milano venisse sino ad Ancona condotta, quella valigia lascierebbe la via di Trieste e si volgerebbe ad Ancona, perchè questa città tanto disterebbe da Milano quanto dista da Milano Trieste.
3. Le provincie settentrionali dello Stato poste a contatto colle meridionali, si alternerebbero i respettivi prodotti tanto per ciò che richiede l’interno consumo, quanto per ciò che si potrebbe commerciare all’estero.
4. Le nazioni e gli stati esteri che sono a ponente d’Italia e che non potranno direttamente comunicare coll’Adriatico, dovranno necessariamente provvedersi delle merci di levante e del nord di Europa nello scalo dello Stato Pontificio sul Mediterraneo; essendochè non potrebbe convenire ad esse di provvedersene nel regno di Napoli e molto meno nell’Adriatico navigando attorno alla penisola.
Il commercio di oriente o comunicherebbe direttamente con Ancona e refluirebbe nel Mediterraneo per la via ferrata, o viceversa.
Ma come questi vantaggi derivanti dalla unione dei due mari sparirebbero se non si effettuasse; così si diminuirebbero e forse intieramente si perderebbero se venisse concesso alla Toscana di mettersi in diretta comunicazione coll’Adriatico; perchè farebbe suoi i vantaggi che lo Stato Pontificio potrebbe trarne.
Di fatti: oggi la Toscana, par accedere nell’Adriatico, incontra le difficoltà medesime che incontriam noi e più ancora in ragione del maggiore cammino che dovrebbe percorrere per girare attorno all’Italia. Se in sequela della strada ferrata le merci di levante e del nord si depositassero nel Mediterraneo in uno scalo qualunque pontificio, avverrebbe senza fallo che la Toscana si porterebbe in questo ad acquistarle; essendochè non troverebbe suo conto di navigare nell’Adriatico a provvedersene. E non solo qui nello Stato provvederebbe il bisognevole al suo interno consumo; ma eziandio quanto le sarebbe necessario per commerciare all’estero. In una parola: il commercio dello stato diverrebbe totalmente attivo e preponderante per rispetto alla Toscana.
Similmente le sarebbe impedito di somministrare all’Adriatico le merci di ponente, poichè non potrebbe sostenere la concorrenza dello Stato Pontificio per le spese di trasporto che sarebbe costretta a fare per la via di mare.
Al contrario se la Toscana potrà per una facile ed economica comunicazione, quale si è la strada ferrata, metter capo nell’Adriatico; è egli mai possibile che non facesse direttamente, e perciò fuori dello stato pontificio quel commercio che altrimenti sarebbe costretta fare con esso? Si veramente! Essa trarrebbe dall’Adriatico, (e forse negletta anche Ancona) tutto ciò che le converrebbe. Nè basta. Le nazioni di ponente scalerebbero in Livorno tanto per provvedersi delle merci tratte dall’Adriatico quanto per spedire nell’Adriatico i loro prodotti. Quindi avverrebbe che le provincie meridionali dello Stato sarebbero escluse per la concorrenza della Toscana dal commerciare cogli esteri, perchè Livorno diverrebbe l’emporio del commercio di levante e di ponente sul Mediterraneo, sia per effetto della già esistente floridezza del suo commercio e per l’avviamento che già vi esiste, sia perchè le nazioni a ponente d’Italia e di Europa, seppure non vi trovassero maggiore economia nel costo, vi troverebbero sempre, per la vicinanza maggiore, economia di tempo, di trasporto, di pericolo. E a che servirebbe mai per lo Stato Pontificio la unione dei due mari? Alla sola comunicazione del commercio interno fra le provincie settentrionali e meridionali; al cambio dei respettivi prodotti di esse; non mai al commercio esterno, perchè la Toscana intieramente lo assorbirebbe. Le merci del nord e di levante condotte, per esempio, a Civitavecchia, rimarrebbero affatto inutili pel traffico all’estero, perchè il regno delle Due Sicilie le avrebbe direttamente dall’Adriatico per mezzo della sua comunicazione ferrata; e le nazioni di ponente, come già dicemmo le trarrebbero da Livorno. Suppongasi che l’Italia non potesse avere altra comunicazione che quella da Napoli a Barletta. Non forse Napoli diverrebbe sul Mediterraneo l’emporio del commercio di levante e ponente in Italia? Invece aprasi la comunicazione di Ancona a Civitavecchia; questa toglierà a Napoli quel beneficio, perchè le nazioni di ponente verranno a commerciare in Civitavecchia e non progrediranno a Napoli. Nella guisa stessa se Livorno potrà congiungersi coll’Adriatico, assorbirà il commercio che potrebbe fare Civitavecchia.
Nè si obietti, che se la comunicazione della Toscana coll’Adriatico fosse tale sicchè dovesse commerciare con Ancona, niun danno risulterebbe allo Stato, perchè commercierebbe con una città dello Stato. Rispondo essere questa una illusione, perchè il danno esisterebbe sempre e grave. Priva la Toscana di accesso nell’Adriatico, sarebbe costretta, come fu dimostrato, a commerciare sul Mediterraneo nello scalo dello Stato, e questo scalo farebbe con Ancona quel commercio che Livorno nell’altra ipotesi farebbe direttamente con Ancona. E quand’anche si volgesse ad Ancona, sempre le merci che trarrebbe, dovrebbero correre fino allo scalo sul Mediterraneo percorrendo tutta la linea ferrata dello Stato, ivi imbarcarsi, ivi lasciare un qualche benefizio: a menochè non preferisse l’antica via di mare, locchè non sarebbe a temersi. Quindi è tanto innegabile essere utile allo Stato Pontificio che Livorno non possa accedere all’Adriatico, quanto è innegabile essere più utile che faccia il commercio con due città dello Stato, anzichè con una.
E qui perchè non mi si faccia rimbrotto di gretto interesse municipale per avere io soventi volte nominata Civitavecchia, voglio osservare che il ragionamento procede di pari passo ove a Civitavecchia si sostituisca qualunque altro scalo pontificio nel Mediterraneo.
Se non che, posta la verità e giustezza del mio ragionamento e posto che il danno fosse della sola Civitavecchia, sarebbe egli mai giusto di ascrivere a municipale interesse le mie deduzioni? Sarebbe egli forse, in sì grave bisogna, a disprezzarsi il danno della sola Civitavecchia?
Ommetto di osservare che se le città sono membri dello Stato, il danno di una città è danno dello Stato, come il dolore di un membro è dolore del corpo. Non dirò neppure che l’ingrandimento, la prosperità, la ricchezza di Civitavecchia refluirebbe sul rimanente dello Stato, e specialmente su Roma di cui, colla strada ferrata, diverrebbe il sobborgo ed il porto; come il ben essere di un individuo si converte in bene dell’intiera famiglia. Chiederò soltanto se nel caso proposto possa dirsi municipale interesse, nel senso in cui questa frase deve essere veramente intesa, sicchè meriti di essere disprezzato? Allora dovranno non curarsi le vedute di utilità o di danno privato e municipale, quando l’utilità nuoce, o il danno di una città giova ad un’altro municipio o città, ad un’altro membro dello Stato medesimo; perchè in questo caso, considerata la cosa in rispetto all’interesse generale dello Stato l’utilità si bilancia col danno e la partita diviene (come suol dirsi in commercio) passatora. Ma potrebbe mai con buon senno dirsi questione di municipale interesse quella in cui il danno di una città di un municipio si converte in utilità di un estero Stato? In questo caso, non v’ha forse assoluta perdita e danno per lo Stato, il quale non ha compenso nella utilità di un’altro membro di esso? Nel caso nostro: quale utilità verrebbe allo Stato Pontificio o ad altra città di esso, se la Toscana, con danno della sola Civitavecchia potesse direttamente comunicare coll’Adriatico?
Ma è egli vero che il danno sarebbe della sola Civitavecchia? Nò per mia fede! Vi sarebbe danno dello Stato, ed eccone la dimostrazione.
Dal punto in cui la comunicazione stradale per la Toscana abbandonasse la linea dello Stato, tutte le provincie inferiori perderebbero il beneficio che potrebbero risentire dalla strada ferrata proveniente da Ancona, perchè da questo punto le merci che la Toscana trarrebbe dell’Adriatico, e che (tolta la comunicazione) giungerebbero fino al mare, non darebbero loro utilità alcuna: la strada ferrata sarebbe, per rispetto a quelle merci e queste provincie, come e non esistesse. Nè questo danno sarebbe di lieve momento; perchè sarebbero tolte al transito di questo rimanente della strada non solo le merci che la Toscana consuma; ma quelle eziandio che smercia e somministra alle altre nazioni. Io lo dissi e non lo ripeterò giammai quanto basta: tolta la comunicazione ferrata dell’Adriatico colla Toscana, lo Stato Pontificio provvederà a questa ed alle altre nazioni le merci del levante: in una parola il commercio del levante sarà privativo allo Stato Pontificio col mezzo di Ancona e Civitavecchia; altrimenti sarà comune allo Stato Pontificio ed alla Toscana col mezzo di Ancona e di Livorno; se pure Livorno non metterà fuori Ancona provvedendosi a Trieste e Venezia come purtroppo avverrebbe. Dicasi lo stesso delle merci di ponente. Livorno, la sola Livorno somministrerebbe direttamente queste all’Adriatico e senza il concorso di Ancona. Queste considerazioni mi sembrano di grandissimo peso.
In secondo luogo ne risentirebbe danno l’Erario. Se per le cose dette e dimostrate Civitavecchia diverrà (come diverrebbe colla strada di comunicazione con Ancona, escluso l’intervento della Toscana) lo scalo per le merci di ponente che dovranno passare a levante, e di quelle di levante che dovranno passare a ponente (vantaggio che avrebbe comune con Ancona) questi porti non basteranno a contenere le navi che ve le importeranno ed esporteranno. E l’Erario non risente forse una utilità diretta dall’approdo delle navi nei porti dello stato? Non vi percepisce forse la tassa di ancoraggio per ciascuna vela in ragione della sua portata? E l’utilità dell’Erario, non è forse utilità dello Stato? Non dirò cosa avverrebbe nel caso contrario perchè sarebbe un ripetere le cose già dette.
Il sig. Petitti nella sua opera delle strade ferrate italiane ha detta utilissima la comunicazione dei due mari per la linea di Ancona e Livorno, inutile quella da Ancona e Civitavecchia. Egli si è basato sulla maggiore brevità di questa linea, sulla maggiore opportunità del porto. Io non confuterò questa opinione: l’han fatto già bravamente il signor Alessandro commendator Cialdi ed il sig. architetto Pontani con ragioni alle quali mi sembra che non possa replicarsi. Mi limiterò a fare una osservazione che persuaderà anche i fautori del contrario partito. Il sig. Petitti ragionava nello interesse non di Stato a Stato, di nazione a nazione, ma di tutta l’Italia assembrata ed unita in un solo interesse. Il suo sistema della rete stradale italiana basa sulla ipotesi che la Italia fosse una sola nazione. E certamente in questa ipotesi essendo indifferente che la strada ferrata arrichisse piuttosto Livorno che Civitavecchia (perchè come poco fa diceva, la utilità della intiera nazione tornerebbe al conto medesimo e la questione sarebbe di mera gara municipale) l’economista trovava buone ragioni nella supposta brevità della linea per preferire quella d’Ancona a Livorno piuttostochè quella da Ancona a Civitavecchia. E questa diceva inutile quanto al congiungimento dei due mari: poichè, posto eseguito il medesimo all’insù da Livorno ad Ancona e Venezia, ed all’ingiù da Napoli a Termali, Manfredonia o Brindisi, e ciò per vie più rette e brevi, un terzo punto di congiunzione per una linea molto più lunga perciò costosissima, non ci sembra potere interessare in modo alcuno la navigazione sì del Mediterraneo che dell’Adriatico7. E dunque nella vista di utilità generale d’Italia che egli disaminava la questione. Che se avesse dovuto ragionare per stabilire in massima se una comunicazione da Livorno all’Adriatico fosse nocevole agl’interessi dello Stato Pontificio; non avrebbe dubitato di pronunciarsi con noi per l’affermativa: poichè l’interesse non comune rende dannoso all’uno degli Stati ciò che all’altro giova. E di fatti: se, posta la comunicazione fra Ancona e Livorno, l’autore proclama inutile quella fra Ancona a Civitavecchia; chi non vede avere egli già decisa la questione affermativamente? imperciocchè se il concedere alla Toscana il passaggio per andare all’Adriatico, vale quanto rendere inutile la strada fra Ancona e Civitavecchia; vale privarsi della utilità che lo Stato può trarre (e certamente trarrebbe) da questa strada; egli è evidente il danno: perchè il rendere inutile una cosa non è certamente creare un vantaggio.
O io ho affatto perduto il bene dello intelletto, o la disputa è ridotta a tal punto di verità di evidenza da non abbisognare di ulterior discussione. Tuttavia non è fuor di proposito il pesare le ragioni dei contrari perchè dalla nullità di esse meglio si parrà da qual parte è la buona causa.
Ho sott’occhi una memoria diretta all’eccellentissima Commissione delle strade ferrate, nella quale null’altro è di reale, di vero, che gli elogi ben meritati ai membri distintissimi che la Commissione compongono. L’autore, che non si palesa, dicesi suddito pontificio; ma o egli non ha amore di cittadino, o è in lui soffocato da qualche altro amore.
Incomincia dal declamare è bandir la crociata alle grette idee di provincia, di municipio, d’interessi, di località, di campanile; e vorrebbe, copiando l’autore delle strade ferrate italiane, che si badasse non alla prosperità di un solo stato o provincia ma della intiera Penisola. Nel che ben fece, poichè è questa l’unica ragione che poteva allegarsi dalla sua parte; ragione che dimostra il suo torto; perchè chi si raccomanda all’altrui compassione, da prova di non avere diritti da mettere in campo. Ad udire questo signore, noi dobbiamo intieramente sacrificarci al ben’essere della Penisola, che per lui vuol significare Toscana. Egli ragiona come se fra la Toscana e lo Stato Pontificio non esistesse demarcazione di confini, diversità di leggi politiche, civili, commerciali, finaziere, e perciò una grande diversità e differenza d’interessi. Poco mancò che non invocasse le massime di filantropia, di carità cristiana, quasi che questa comandasse ai poveri di dare ai ricchi tutto quello che hanno. E sì! Perchè a fare in modo che non siavi distinzione fra il campanile di Campidoglio e quel di Pisa, noi poveri d’industria e di commercio, noi dovremmo regalare a’ ricchi toscani tutto il beneficio che possiamo trarre dalla unione dei due mari, e che può arricchirci: se poi dimani essi guazzeranno nell’opulenza e noi morremo di fame, che importa? Ricca la Toscana, è ricca tutta la penisola, e noi che della penisola siamo pure abitanti, ricchi di diritto non di fatto, ce la passeremo sbadigliando, contenti di avere eroicamente rispettata la massima di non far distinzione fra provincia e provincia, fra stato e stato, e di non aver badato ai gretti interessi di località, di campanile! Se però con tali massime in bocca, noi ci presentassimo in Toscana a dimandare impieghi, lavoro, pane; oh allora sì che ci si chiederebbe la fede di nascita, e si alzerebbero per noi a guisa, non di campanile, ma di monti, i confini che separano l’uno Stato dall’altro, e che oggi si vogliono appianati, perchè i nostri pietosi vicini profittino di quel bene che la sola nostra fortunata posizione può darci!!!8
Prosiegue l’autore della memoria beffandosi di noi che, rigettando qualunque progetto di comunicazione colla Toscana, ammettiamo il prolungamento della linea fra Roma ed il Regno di Napoli; locchè egli chiama incoerenza di principii; quasichè fosse impossibile al mondo che una cosa convenga per uno e disconvenga per l’altro. Ma sa egli che i napoletani non verranno giammai nello Stato Pontificio per recarsi all’Adriatico a commerciare; e se pure il faranno non ci arrecheranno danno alcuno ma utilità, perchè non potranno rapirci nè in tutto nè in parte il vantaggio che già abbiamo con essi comune di essere bagnati da due mari? Sa egli che da semplice comunicazione fra stato e stato, e comunicazione commerciale, esiste una gran differenza? Che la prima il più delle volte è utile, la seconda quasi sempre dannosa? Se dunque apriamo le porte al confine di Napoli, noi non vi perderemo, perchè per esse passeranno persone soltanto, non merci, e si recheranno nello Stato non per trame il commercio dell’Adriatico di cui non abbisognano, ma per visitare le meraviglie dell’antica e della moderna Roma, o per passare ad altri Stati. Avverrebbe dei Toscani altrettanto? Amanti dei loro interessi non delle meraviglie di Roma, neppure saluterebbero da lontano questa gran capitale; ma volgendole appena entrati le spalle correrebbero alla difilata all’Adriatico per contenderci quel fonte di ricchezza che per noi soli può essere dischiuso. Ma voi (soggiunse in una nota piena di attico sale) ma voi temete il concorso del commercio toscano, e non paventate quello del Regno di Napoli nell’importazione degli olii, de’ grani e del bestiame tanta funesta al commercio attivo dello Stato pontificio. Di grazia signore; parlate da senno o da scherzo? E che! Siamo forse a discutere se si debba accordare al Regno di Napoli la libera introduzione de’ suoi prodotti, e niegarla alla Toscana; ovvero ragioniamo se ci convenga di perdere tutta l’utilità derivante dal riunire i due mari in grazia dei vostri protetti? Parliamo di finanza o di strade ferrate? Di comunicazione stradale o di libera ammissione de’ prodotti esteri? Certo che se per voi l’aprire una strada ferrata equivale al concedere libera introduzione di merci estere, voi avete ragione: ma se anche all’ingresso della strada ferrata di Napoli esisterà la nostra dogana; se durerà l’interdizione delle derrate e prodotti esteri; se la novella comunicazione ferrata non recherà alterazione alle leggi di Finanza; voi vedete bene che non avete giusto motivo di beffarvi di noi, nè di chiamarci incoerenti nei nostri principi; ma invece dovrete confessare l’incoerenza del vostro ragionamento.
Dall’avere implorato la nostra filantropia passa il nostro contraddittore ad offrirci filantropia toscana. Egli ci richiama a meditare seriamente sulla povertà nostra e ad esaminare conscienziosamente se i prodotti presumibili da ritrarsi dalla strada a rotaie fra Ancona e Civitavecchia, senza il sussidio di altre diramazioni daranno adequati all’enorme spesa che importerà la sua linea longitudinale di 240 miglia col formidabile ostacolo del passaggio dell’Appennino. Ciò significa senza fallo esser mente del nostro avversario che se non si permetterà ai toscani di profittare della nostra strada per andare all’Adriatico, l’impresa andrà senza meno fallita, e che perciò ci conviene di supplicarli ginocchioni ed a mani giunte perchè si degnino sostenerci nella scabrosa ed ardua impresa. Or io chiedo a lui a vicenda se pensi che, interdetto ai toscani lo andare all’Adriatico, s’interdiranno essi del pari ogni commercio con noi, e si niegheranno di avere da noi quelle merci che altrimenti si procurerebbero con un diretto commercio? Se nò, come di nò è di fatti, si tranquillizzi, non tema che tutte le merci le quali, acquistate direttamente dai toscani sull’Adriatico, dovrebbero passare per la nostra strada, vi passeranno del pari, perchè o sia che le acquistino in Civitavecchia o le commettano ad Ancona, sempre avranno percorsa la nostra strada a rotaie prima che pervengano nelle loro mani, ed essi contribuiranno generosamente al mantenimento della strada e ad adequarne i prodotti alla spesa: che anzi meglio è più vi contribuiranno quando non v’abbiano comunicazione; perchè, dovendole ricevere in Civitavecchia, avranno tutte intieramente percorsa la strada dall’un mare all’altro, ed al contrario se potranno volgere per la Toscana, una sola parte ne percorreranno. E poi! Crede egli che senza l’unione della strada di Toscana, mancherà la nostra del sussidio di altre diramazioni? Non parlerò di quella delle romagne per l’alta Italia nè dell’altra di Napoli. Non farò parola di Roma che della strada siederà regina, ed a cui migliaia di stranieri verranno in ogni anno a recarle omaggio e tributo. Dirò solo che la strada da Civitavecchia ad Ancona ha due estese, immense, ricchissime diramazioni ne’ suoi due mari, per l’uno dei quali si attacca a Venezia, Trieste e comunica colle provincie nordiche dell’Europa; per l’altro si unisce alle nazioni tutte meridionali Europee, alle isole di Sardegna, di Sicilia, di Malta, all’Africa ed all’Asia. Potrebbe, senza la diramazione di Toscana, desiderarsi diramazione maggiore?
Qui però non si arresta la generosa filantropia dell’ignoto scrittore, ma procede più oltre. Dopo aver fatto il panegirico del porto di Civitavecchia, ed averlo dichiarato inetto a divenire uno scalo importante al commercio di ponente per difetto dei mezzi e pel suo stato attuale, sembra che voglia concludere, che dunque si lasci alla immensa e fiorente Livorno il diritto di divenire sul Mediterraneo l’emporio del novello commercio mediante la riunione dei due mari. Io potrei dimostrare al nostro pietoso ed urbanissimo anonimo che a Civitavecchia meglio che a Livorno non manca il germe della prosperità e della grandezza sol che una benefica ruggiada lo inaffi: che le sue condizioni statistiche, geografiche ed idrografiche sono eccellenti al di sopra di quelle della sua protetta: mi limiterò a rammentargli la sentenza di Baldo che se le strade ferrate sono strumenti necessarii alle prosperità commerciali esistenti sono del pari strumenti necessarii a fare insorgere tale prosperità dove non esiste. Lasci adunque il nostro scrittore che si faccia la sola strada ferrata da Civitavecchia a Roma, e vedrà questa spiaggia che chiama deserta e malsana, fiorire, ingentilirsi; la città gremirsi di abitatori; atterrate le inutili fortificazioni, dilatarsi, empirsi di magazzeni, di depositi, di case; sorgere a contatto del porto attuale un’altro più vasto ed egualmente sicuro quale si conviene a porto della gran Roma, e che si riderà della pericolosa rada livornese. Attivata poi la strada fra Roma ed Ancona, se a Livorno non bastò un secolo per ingrandirsi e prosperare, a Civitavecchia basterà un lustro per starle a fronte temuta rivale. Che se in pochi anni dal misero approdo de’ soli vapori seppe trarre elementi di prosperità maggiori d’ogni speranza; se dall’atterramento di poche interne mura che finora nuocquero più a noi che ai nemici, le porsero occasione d’ingrandirsi elevò magnifiche fabbriche ed abitazioni; non lascerà certo sfuggire gl’immensi vantaggi che necessariamente le verranno dal beneficio di unirsi alla di lei sorella dell’Adriatico: beneficio che le viene ahi troppo conteso e invidiato.
Dopo le indiscrete dimande, e le interessate offerte, passa il nostro anonimo ad erigersi in giudice del giusto e dell’ingiusto, sognando nel Governo Pontificio predilezione per Civitavecchia a danno delle altre provincie. Qui il proprio interesse vestendo il manto della pietà verso altrui, chiede se sia giusto che il governo debba occuparsi della sola prosperità di Civitavecchia, per privare le altre provincie, e specialmente la parte più industriosa dell’Umbria del gran beneficio di una strada ferrata, che faciliti e favorisca il suo commercio colle Marche, colle Romagne e col porto di Ancona? Nell’udire le costui parole, non sembra forse che la disputa verta su tutt’altro subietto? Forse che si oppone Civitavecchia che la strada ferrata passi per Perugia o per altra qualsivoglia provincia? Noi nieghiamo che debba esistere una comunicazione colla Toscana che metta all’Adriatico, e non abbiamo mai mossa querela sulla linea per la quale la strada di Ancona dovrà percorrere. Delle strade nello interno dello Stato se ne facciano cento che ci brilla il cuore di gioia per tutte; ma non se ne faccia una che privi, non Civitavecchia, ma lo stato dell’immenso vantaggio di unire i due mari. Voi sig. anonimo per discutere opportunamente la tesi avreste dovuto dimostrare e persuaderci che la comunicazione della Toscana coll’Adriatico se non gioverebbe, non nuocerebbe neppure agl’interessi dello Stato Pontificio: ma questa dimostrazione era impossibile e perciò bellamente non l’avete neppure tentata. Che anzi ci dite apertamente quale sarebbe il resultato della pretesa comunicazione, quello cioè di lasciarci il misero beneficio del commercio di transito. E si! La parte meridionale dello Stato non deve aver commercio, quello che veramente si chiama commercio d’importazione e di esportazione, ma un miserabile transito! Il commercio è privativa della Toscana, e deve continuare ad esserlo!
Finalmente vuole il sig. anonimo che si lasci andare il commercio nelle sue naturali tendenze, simile ad un fiume che segue il pendio delle circostanze e presceglie la via più breve e la più naturale. Applicando però questa sentenza al fatto, noi vediamo che per parte dei contrari non la si osserva. Essi non vogliono lasciar andare le acque per la china e il fiume del commercio per l’alveo suo naturale ma crearne uno nuovo, e noi dobbiamo scavarlo perchè fecondi le loro campagne.
Così a nulla giova il vagheggiato esempio della Francia se dessa ha aperta una comunicazione ferrata col Nord e non paventò, a fronte di altri vantaggi, la formidabile concorrenza dell’industria belgica, nè la somma preponderanza del porto di Anversa, n’ebbe ben d’onde. La Francia ed il Belgio si comunicarono il respettivo eguale commercio bilanciato da una correspettività perfetta. Il Belgio e la Francia non avevano un godimento proprio speciale privativo di cui potessero far perdita nella mutua loro comunicazione: non miravano ambedue ad un punto solo di opposti interessi; non tendevano entranbi ad un sol fonte di commerciale ricchezza, e perciò non era possibile fra essi gara, esclusione. La Francia non aveva a temere ma a profittare del porto di Anversa, ed il Belgio permettendole l’accesso a quello scalo nulla toglieva a se stesso; che anzi accresceva il commercio di quella piazza estendendolo all’estero; dal che gli deriva utilità, non danno nel mutuo cambio dei respettivi prodotti. Siamo forse noi nel caso medesimo in rapporto alla Toscana? Ho dimostrato che l’utilità di congiungere i due mari sarebbe tutta della Toscana; che si vuole di più? Perchè non si dimostra che ciò non è vero?
Dice taluno che alla fin fine un passaggio alla Toscana sarà mestieri accordarlo; e che, se non per lo Stato Pontificio, si aprirà il varco all’Adriatico per Modena, e l’alta Italia, e quindi si recherà a Venezia e Trieste: d’onde lo Stato Pontificio perderà quel vantaggio che avrebbe potuto trarre commerciando con Ancona e percorrendo l’interno dello Stato medesimo.
In merito all’asserita necessità, non saprei vederne alcuna; perchè non saprei vedere, al di là della forza e delle armi, come e perchè lo Stato Pontificio potrebbe essere violentato a concedere un transito evidentemente dannoso. E probabilmente le armi e la forza sono le ragioni di sfera più elevata di cui l’anonimo parla, ma con bella reticenza non palesa. E certo queste sarebbero ragioni potentissime, al cospetto delle quali ogni scrittore ammutisce e si ritira.9.
Che poi possa la Toscana aprirsi il passaggio per l’alta Italia, rispondo che il faccia. Primieramente verso il confine di Modena avrà l’Appennino più difficile a superarsi: in secondo luogo raddoppierebbe forse la strada, e non so quanto in tal caso potrebbe sostenere la nostra concorrenza: in terzo luogo, dovendo traversare più Stati, sarebbero immense le perdite di tempo per visite politiche e finanziere, moltiplicate le spese. Che poi questo varco non le sia giovevole affatto lo prova l’insistenza di lei nello aprirselo per lo Stato Pontificio, anche con ragioni di sfera più elevata.
Molti altri argomenti potrei addurre in mezzo a sostegno della mia tesi; ma temo, sig. cavaliere, di abusare della gentile vostra sofferenza, togliendovi a quelle meditazioni e a quegli studi che vi recano frutto di sommo onore e lode.
Piacciavi, signor Cavaliere, ascrivermi nel numero de’ vostri ossequientissimi servitori e gradite gli omaggi della mia stima e devozione.
Di Civitavecchia a dì 16 settembre 1846.
Devmo obbligantissimo Servitore |
Note
- ↑ Galli, pag. 47.
- ↑ Pag. 17.
- ↑ Pontani pag. 18.
- ↑ Galli pag. 49. Pontani pag. 24. Forse per le merci di molto peso e volume e di poco valore, le spese dei ripetuti carichi e discarichi, di spedizione ec. renderebbero poco proficua la loro discesa da Venezia e Trieste ad Ancona e sul Mediterraneo per proseguire alla volta dell’Asia; troverebbero però utile sempre nella sollecitudine e per le altre direzioni di Africa e ponente d’Italia e d’Europa. Ad ogni modo, anche per andare dal nord all’Asia sarà sempre più utile alle persone di scendere sul Mediterraneo.
- ↑ Pontani pag. 25.
- ↑ Pontani pag. 24.
- ↑ Pag. 356.
- ↑ Se questa ragione dovesse militare, si dovrebbe togliere fra stato e stato ogni divieto d’introduzione de’ respettivi prodotti, ogni dazio.
- ↑ Son noti gli ostacoli sommi, e forse insuperabili che il Piemonte trova per unir Genova a Milano, ed invano fa suoi reclami al governo sardo, poichè quello austriaco non è guari disposto a favorire l’unione; insomma ognuno bada ai suoi interessi: perchè il solo Stato Pontificio dovrebbe cedere e non curarli? Che se Genova non otterrà di unirsi alla via Ferdinandea, ragion di più per negare alla Toscana il passaggio, perchè lo Stato Pontificio rimarrà veramente solo nel Mediterraneo a fruire dell’immenso vantaggio di unire i due mari.
- Testi in cui è citato Alessandro Cialdi
- Testi in cui è citato Carlo Ilarione Petitti di Roreto
- Testi in cui è citato Giuseppe Bavosi
- Testi in cui è citato Carlo Pontani
- Testi in cui è citato il testo Delle strade ferrate italiane e del miglior ordinamento di esse
- Testi in cui è citato Angelo Galli
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