Orgoglio e pregiudizio (1945)/Capitolo quarantesimo
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Traduzione dall'inglese di Itala Castellini, Natalia Rosi (1945)
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Elizabeth non poteva più frenare la sua impazienza di raccontare a Jane quanto era successo; e finalmente, decisa a evitare ogni particolare che concernesse sua sorella, e preparandola a una grande sorpresa, la mattina dopo le narrò la scena avvenuta tra lei e Mr. Darcy.
Lo stupore di Jane fu mitigato soltanto dal suo affetto, che le faceva sembrare naturale l’ammirazione suscitata da sua sorella. La sorpresa diede luogo ben presto ad altri sentimenti. Era spiacente che Mr. Darcy avesse manifestato il suo amore in modo così poco atto a farlo apprezzare, ma era ancor più desolata pensando al dolore che doveva aver provato per il rifiuto di Elizabeth.
«Certo aveva torto di credersi così sicuro del successo», disse, «e tanto meno doveva mostrare la sua sicurezza, ma pensa come deve essere stata più grave la sua delusione!».
«Infatti», rispose Elizabeth, «me ne dispiace di tutto cuore, ma vi sono molte ragioni per cui sarà indotto a cancellare presto il sentimento che aveva verso di me. Non mi disapprovi, però, di averlo rifiutato?»
«Disapprovarti? Oh, no...».
«Ma mi biasimi di avere parlato con tanto calore di Wickham?»
«No, non direi che tu avessi torto nel parlare come hai fatto».
«Ma, quando sentirai quello che avvenne il giorno dopo, saprai invece che avevo proprio torto».
Parlò allora della lettera, riferendone il contenuto per quello che riguardava George Wickham. Che colpo per la povera Jane! Lei che avrebbe creduto di non trovare nemmeno girando il mondo intero tanta perfidia in tutta la razza umana riunita, fu costretta a doverla ammettere e riconoscere in un solo individuo! La riabilitazione di Darcy, pur facendole molto piacere, non bastava a consolarla della scoperta che aveva fatto. Provò con tutto l’impegno a dimostrare che vi potesse essere un errore, cercando di scagionare l’uno senza accusare l’altro.
«No», disse Elizabeth, «non riuscirai mai a provare che sono buoni tutti e due. Scegli, ma devi accontentarti di parteggiare per uno solo. Per parte mia, sono propensa a credere che abbia ragione Mr. Darcy, ma tu sei libera di pensare come vuoi».
Ci volle un po’ di tempo, prima di riportare un sorriso sulle dolci labbra di Jane.
«Non credo di essere stata mai così scandalizzata! Wickham, così perfido! È quasi incredibile. E il povero Mr. Darcy! Pensa, cara Lizzy, quanto deve aver sofferto. E sapere anche che tu lo giudicavi così male! E dover raccontare una cosa simile di sua sorella! È veramente doloroso. Sono sicura che anche tu ne soffri come me».
«Oh, no! Il mio compatimento e il mio rammarico sono addirittura eclissati dalla violenza del tuo. Sono così sicura che tu gli renderai una giustizia assoluta e completa, che posso anche permettermi di adagiarmi nell’indifferenza. L’eccesso del tuo sentimento rende più avaro il mio, e se continui a piangere così su di lui, il mio cuore diventerà leggero come una piuma».
«Povero Wickham! Ha un’espressione così buona, dei modi così aperti e gentili!».
«Per conto mio, nell’educazione di quei giovani è stato commesso qualche sbaglio. E trovo che a proposito di bontà, uno ne ha preso tutta la sostanza, e l’altro tutta l’apparenza».
«Non ho mai trovato che Mr. Darcy sia così totalmente privo di questa apparenza , come sembra a te».
«Eppure credevo di essere stata così intelligente nell’aver sentito tanta antipatia per lui senza ragione alcuna. Mi sembrava proprio una prova di spirito, un’intuizione geniale. Si può condannare qualcuno senza dire mai una cosa giusta, ma un’antipatia come questa che genera l’ironia e lo sprezzo sarcastico, coglie sempre nel segno: una volta o l’altra ne vengono fuori per forza un’arguzia o un motto di spirito indovinati».
«Lizzy, sono sicura che quando hai letto la lettera per la prima volta, non hai preso la cosa così alla leggera».
«Ti garantisco di no. Ero veramente commossa, e, direi, infelice. E, pensa, non aver nessuno col quale parlare di quello che provavo, non una Jane che mi confortasse e mi dicesse che non ero stata poi così debole e vana e sciocca, come sapevo di essere stata! Oh, quanto mi sei mancata!».
«Fu un peccato che tu abbia parlato in un modo così risentito a proposito di Wickham; ora si vede che non ne era proprio il caso».
«Certo, ma l’amarezza delle mie parole era la logica conseguenza dei pregiudizi di cui ero imbevuta. C’è un punto, ora, sul quale desidero il tuo consiglio. Vorrei sapere se dovrei o no rivelare alle nostre conoscenze qual è il vero carattere di Wickham».
Jane tacque un momento, prima di rispondere.
«A me non pare che sia il caso di esporlo così alla disapprovazione generale. E tu cosa ne pensi?»
«Sono anche io del tuo parere. Mr. Darcy non mi ha autorizzata a dirlo pubblicamente. Anzi, avrei dovuto tenere per me tutto quello che riguarda sua sorella, e se tentassi di disingannare la gente sulla natura di Wickham, chi potrebbe credermi senza delle prove? Tutti hanno in tale antipatia Mr. Darcy, che il tentare di metterlo in buona luce sarebbe la morte di metà almeno della gente rispettabile di Meryton. Io non me la sento. Wickham se ne andrà presto, per cui non ha più grande importanza sapere quello che è in realtà. Col tempo si saprà, e noi potremo ridere della stupidità di chi non lo ha scoperto prima. Per ora non parliamone affatto».
«Hai perfettamente ragione. Mettere in pubblico i suoi errori vorrebbe dire rovinarlo per sempre. Forse si sta pentendo già di quello che ha fatto, e desidera riabilitarsi. Non dobbiamo togliergli questa speranza».
Quella conversazione placò l’agitazione di Elizabeth. Si era tolta il peso di due segreti che le gravavano sull’anima da quindici giorni, e sapeva di avere in Jane un’ascoltatrice sempre disposta a ricevere le sue confidenze, quando avesse desiderato fargliele. Ma c’era ancora qualcosa di cui per prudenza non doveva parlare.
Non osava comunicarle la seconda parte della lettera di Mr. Darcy, né spiegarle come il suo amico l’avesse amata sinceramente. Era una cosa che nessuno doveva sapere, finché Jane e Bingley non fossero arrivati a una perfetta intesa. “E allora”, pensava, “se questo improbabilissimo avvenimento dovesse accadere, non potrei dirle che quello che Bingley stesso le dirà, e molto meglio di me! Sarò libera di parlare solo quando questa libertà non avrà più alcun valore!”.
Ormai che era tornata a casa, poteva osservare il vero stato d’animo di sua sorella. Jane non era felice. Amava ancora teneramente Bingley. Non essendo mai stata innamorata prima di allora, il suo sentimento aveva tutto l’entusiasmo di un primo amore, e, data la sua età e il suo carattere, una maggiore profondità di quanto non comporti in genere un sentimento simile. Lo ricordava con tanto fervore, lo preferiva talmente a ogni altro uomo, che soltanto il desiderio di non rattristare gli altri le impediva di abbandonarsi a un rimpianto che le avrebbe tolto e la salute e la pace.
«E così, Lizzy», disse Mrs. Bennet un giorno, «che ne pensi di tutta questa triste storia di Jane? Per conto mio sono decisa a non parlarne mai più con nessuno. Lo dicevo anche l’altro giorno a mia sorella Philips. Ma non riesco a scoprire se Jane lo abbia visto a Londra. È proprio un giovane che non merita nulla, e temo che non ci sia più nessuna speranza che lei lo possa riconquistare. Non si sente dire nulla di un suo ritorno a Netherfield quest’estate: ho interrogato tutti quelli che potevano saperne qualcosa».
«Non credo che tornerà più a Netherfield».
«Bene, faccia quello che vuole. Nessuno si cura più di lui. Però dirò sempre che ha agito malissimo verso mia figlia, e se fossi stata in lei, non l’avrei sopportato. Pazienza; il mio solo conforto è che Jane ne morrà di crepacuore, e allora lui si pentirà di quello che ha fatto».
Ma siccome questa prospettiva non era certo consolante per Elizabeth, essa non rispose.
«Ebbene, Lizzy», continuò sua madre poco dopo, «così i Collins stanno proprio bene, non è vero? Bene, bene, speriamo che duri. E tengono una buona tavola? Credo che Charlotte sia una bravissima massaia. Se poi è furba come sua madre, riuscirà anche a mettersi un buon gruzzolo da parte. Dopotutto non penso davvero che faranno degli sciali!».
«No, davvero».
«Un’economia oculata: tutto dipende da quello. Sicuro. Staranno attenti a non spendere più del loro reddito. Così non saranno mai a corto di denaro. Bene, buon pro gli faccia! E suppongo che parlino spesso di quando entreranno in possesso di Longbourn alla morte di tuo padre. La considerano già cosa loro, ne sono sicura».
«È un argomento del quale non potevano parlare in mia presenza».
«Infatti sarebbe stato strano che lo avessero fatto; ma non dubito che ne discorreranno spesso. Bene, se possono vivere tranquilli in una proprietà che non spetta loro legittimamente, tanto meglio. Io mi vergognerei di entrare in possesso di una proprietà attraverso un semplice vincolo ereditario».