Orgoglio e pregiudizio (1945)/Capitolo trentasettesimo

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Capitolo trentasettesimo

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Jane Austen - Orgoglio e pregiudizio (1813)
Traduzione dall'inglese di Itala Castellini, Natalia Rosi (1945)
Capitolo trentasettesimo
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I due amici lasciarono Rosings il mattino dopo, e Mr. Collins che si era trovato in vicinanza della villa per fare il suo ultimo inchino, poté portare a casa la buona notizia che apparivano in ottima salute e di umore abbastanza sereno per quanto ci si poteva aspettare dopo la malinconica scena degli addii svoltasi a Rosings. Si affrettò poi a recarsi a consolare Lady Catherine e sua figlia: al ritorno era latore, con grande soddisfazione, di un messaggio di Sua Signoria, che si sentiva talmente depressa da desiderare vivamente di averli tutti a pranzo da lei.

Elizabeth non poté rivedere Lady Catherine senza pensare che, se lo avesse voluto, in quel momento avrebbe potuto esserle presentata come sua futura nipote; né poteva immaginare, senza sorridere, lo sdegno di lei. Che cosa avrebbe detto? Come si sarebbe comportata? Erano le domande che si divertiva a porsi.

Naturalmente il primo argomento fu il vuoto lasciato dai partenti: «Vi assicuro che lo sento infinitamente», disse Lady Catherine, «credo che nessuno soffra quanto me per la partenza degli amici. E a questi giovani sono particolarmente affezionata, come so che essi lo sono a me! Erano più che spiacenti di partire. Lo sono sempre, del resto. Il caro colonnello si è fatto forza fino all’ultimo, ma Darcy sembrava assai più desolato dell’anno scorso. È un fatto che il suo attaccamento per Rosings vada sempre crescendo».

Era proprio il momento propizio per Mr. Collins per introdurre un complimento e un’allusione che madre e figlia accolsero con un sorriso.

Lady Catherine, dopo pranzo, osservò che Elizabeth sembrava depressa, e naturalmente ne indicò lei la ragione, supponendo che non avesse voglia di tornare a casa così presto, e aggiunse:

«Ma se è per questo, dovete scrivere a vostra madre, pregandola di lasciarvi stare un altro po’ di tempo. Sono sicura che Mrs. Collins sarà felicissima della vostra compagnia».

«Sono molto grata a Vostra Signoria, per il cortese invito», rispose Elizabeth, «ma non mi è possibile accettarlo. Sabato prossimo devo essere in città».

«Insomma, siete rimasta sei settimane soltanto. Credevo che vi sareste trattenuta due mesi. Lo dissi a Mrs. Collins prima ancora che arrivaste. Non vedo la ragione perché dobbiate partire così presto. Certo Mrs. Bennet può fare a meno di voi per altri quindici giorni».

«Ma è mio padre che non lo può. Mi ha scritto l’altra settimana per affrettare il mio ritorno».

«Oh, quanto a vostro padre, potrà bene rinunciare a voi, se lo può vostra madre. Le figlie non contano molto per un padre. E se vi fermaste tutto un altro mese, potrei accompagnare almeno una di voi a Londra dove andrò i primi giorni di giugno per una settimana. Siccome Dawson si adatta ad andare in calesse, vi sarà posto nella mia vettura almeno per una di voi, e, se il tempo fosse fresco, non avrei difficoltà a portarvi tutte e due, dato che nessuna di voi è grassa».

«Siete la bontà personificata, signora, ma credo che dovrò attenermi al mio primo progetto».

Lady Catherine sembrò rassegnarsi: «Mrs. Collins, dovete farle accompagnare da un servitore. Sapete che vi dico sempre quello che penso, e non posso sopportare l’idea che due giovani donne viaggino sole. È assolutamente indecoroso. Dovete trovare il modo di mandare qualcuno con loro. È la cosa che detesto di più al mondo. Le signorine dovrebbero essere sempre sorvegliate e assistite, secondo la loro posizione sociale. Quando mia nipote Georgiana l’estate scorsa andò a Ramsgate, ho imposto che due domestici andassero con lei. Miss Darcy, la figlia di Mr. Darcy di Pemberley, e di Lady Anne, non avrebbe potuto viaggiare diversamente, per il suo decoro. Sono assai meticolosa in proposito. Dovete mandare John con le due signorine, Mrs. Collins; sono contenta di averci pensato, perché vi farebbe torto se le lasciaste andar sole».

«Mio zio ci manderà un servitore».

«Ah, vostro zio! Tiene dunque un servitore? Sono molto contenta che vi sia qualcuno che pensa a queste cose. Dove cambierete i cavalli? A Bromley, naturalmente. Se fate il mio nome alla Locanda della Campana vi serviranno bene».

Lady Catherine fece parecchie altre domande sul loro viaggio, e siccome non a tutte trovava da sola una risposta, era necessario prestarle attenzione, cosa che era una fortuna per Elizabeth, perché con la mente oppressa da tanti pensieri, avrebbe finito per dimenticare dove si trovava. La riflessione era riservata alle ore di solitudine; era il suo più grande sollievo, appena si trovava sola, e non passava giorno senza che ella si rifugiasse in una passeggiata solitaria durante la quale si abbandonava alla malinconica dolcezza degli ingrati ricordi. Ormai sapeva quasi a memoria la lettera di Mr. Darcy. Ne aveva studiato ogni frase e i suoi sentimenti verso colui che l’aveva scritta erano di volta in volta estremamente diversi. Quando ricordava il tono del suo discorso si sentiva ancora ribollire per l’indignazione, ma quando pensava all’ingiustizia con la quale lei stessa lo aveva poi condannato e rimproverato, la sua indignazione le si rivolgeva contro, e finiva per avere compassione di lui e dei suoi sentimenti delusi. Gli era grata per il suo affetto e rispettava il suo carattere, ma non poteva apprezzarlo, né pentirsi del suo rifiuto, e non provava alcun desiderio di rivederlo. Provava una continua irritazione ripensando al proprio contegno né minor dolore le davano quegli odiosi difetti della sua famiglia che sembravano senza rimedio. Suo padre, che pareva aver esaurito il proprio compito mettendole in ridicolo, non avrebbe mai fatto la fatica di frenare la folle leggerezza delle sue figlie minori, e la madre, così priva di buon senso lei stessa, era incapace di vedere alcun male nella loro condotta. Elizabeth, insieme con Jane, aveva cercato di moderare la storditezza di Catherine e di Lydia, ma finché queste erano appoggiate dalla indulgenza materna, come si poteva sperare di correggerle? Catherine, priva di volontà, irritabile e completamente dominata da Lydia, aveva sempre resistito ai loro consigli; Lydia, ostinata e trascurata, non dava loro nemmeno ascolto. Erano ignoranti, oziose e frivole. Finché a Meryton ci fosse stato un ufficiale, avrebbero sempre civettato, e finché Meryton era così vicino a Longbourn, non avrebbero mai rinunciato ad andarci. La sua pena maggiore era per Jane. La spiegazione di Mr. Darcy, permettendole di rendere a Mr. Bingley tutta la sua stima, accresceva la coscienza di quello che Jane aveva perduto. L’affetto di lui era stato veramente sincero, e la sua condotta scevra da ogni colpa, se si esclude quella di avere avuto troppa fiducia nel suo amico. Come era doloroso pensare che Jane aveva perso un avvenire che poteva schiuderle ogni felicità, solo per la follia e la mancanza di decoro della sua stessa famiglia!

Se si aggiungeva a tutti questi pensieri la rivelazione sulla vera indole di Wickham, si potrà capire come l’ottimismo di Elizabeth, che non era stato quasi mai intaccato prima d’ora, l’avesse abbandonata al punto che le era difficile avere anche solo l’apparenza della serenità.

Anche nell’ultima settimana del loro soggiorno, gli inviti a Rosings furono frequenti come al principio. Dovettero passare là l’ultima sera, e Sua Signoria si informò di nuovo minutamente sui particolari del loro viaggio, le istruì sul miglior modo di fare i bagagli e insistette talmente sulla maniera di piegare gli abiti, che, tornata a casa, Maria si credette obbligata a disfare tutto il lavoro del mattino e a rifare il suo baule.

Quando presero congedo, Lady Catherine, con grande degnazione, augurò loro un buon viaggio, e le invitò a ritornare a Hunsford l’anno prossimo; e Miss de Bourgh si sforzò fino a fare una parvenza di inchino e a tendere la mano ad entrambe.