Orlando furioso (sec. la stampa 1532)/Canto 1

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ORLANDO FVRIOSO DI MESSER LVDOVICO

ARIOSTO ALLO ILLVSTRISSIMO E REVE

RENDISSIMO CARDINALE DON

NO HIPPOLYTO DA ESTE

SVO SIGNORE.


 


CANTO PRIMO




 [1]

L
e donne i cauallier’: l’arme gli amori

     Le corteſie: l’audaci īpreſe io canto
     Che furo al tēpo che paſſaro i Mori
     D’Africa il mare, e in Francia nocquer tanto
     Seguendo l’ire, e i giouenil furori
     D’Agramante lor Re, che ſi die vanto
     Di vendicar la morte di Troiano
     Sopra re Carlo imperator romano.
     
 [2]
Diro d’Orlando in vn medeſmo tratto
     Coſa non detta in proſa mai ne in rima
     Che per amor venne in furore e matto
     D’huom che ſi ſaggio era ſtimato prīa
     Se da colei che tal quaſi m’ha fatto
     Che ’l poco īgegno adhor adhor mi lima
     Me ne ſara pehro tanto conceſſo
     Che mi baſti a finir quāto ho promeſſo
     
 [3]
Piacciaui generoſa Herculea prole
     Ornamento e ſplendor del ſecol noſtro
     Hippolyto aggradir queſto che vuole
     E darui ſol puo l’humil ſeruo voſtro
     Quel ch’io vi debbo, poſſo di parole
     Pagare in parte e d’opera d’inchioſtro,
     Ne che poco io vi dia da imputar ſono
     Che quanto io poſſo dar, tutto vi dono
     
 [4]
Voi ſentirete fra i piu degni Heroi
     Che nominar cō laude m’apparecchio
     Ricordar quel Ruggier che fu di voi
     E devoſtri aui illuſtri il ceppo vecchio.
     L’alto valore e’ chiari geſti ſuoi
     Vi faro vdir ſe voi mi date orecchio
     E voſtri alti penſier cedino vn poco
     Si che tra lor miei uerſi habbiano loco.
     
 [5]
Orlando che gran tempo inamorato
     Fu de la bella Angelica, e per lei
     In India, in Media, in Tartaria laſciato
     Hauea infiniti, & immortal trofei
     In Ponente con eſſa era tornato
     Doue ſotto i gran monti Pyrenei
     Con la gente di Francia e de Lamagna
     Re Carlo era attendato alla campagna

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 [6]
Per far al re Marſilio e al re Agramāte
     Batterſi ancor del folle ardir la guācia
     D’hauer condotto l’un d’Africa quante
     Genti erano atte a portar ſpada e lancia
     L’altro d’hauer ſpinta la Spagna inante
     A deſtruttion del bel regno di Francia
     E coſi Orlando arriuo quiui a punto
     Ma toſto ſi penti d’eſſerui giunto

 [7]
Che vi fu tolta la ſua donna poi,
     Ecco il giudicio humā come ſpeſſo erra
     Quella che dagli Heſperi ai liti Eoi
     Hauea difeſa con ſi lunga guerra
     Or tolta gli e: fra tanti amici ſuoi
     Senza ſpada adoprar: ne la ſua terra
     Il ſauio imperator ch’eſtinguer volſe
     Vn graue incendio, fu che gli la tolſe

 [8]
Nata pochi di inanzi era vna gara
     Tra il cōte Orlando e il ſuo cugin Rinaldo:
     Che entrambi haueā p la bellezza rara
     D’amoroſo diſio l’animo caldo,
     Carlo che non hauea tal lite cara
     Che gli rendea l’aiuto lor men ſaldo
     Queſta donzella che la cauſa n’era
     Tolſe, e die in mano al duca di Bauera.

 [9]
In premio promettendola a quel d’eſſi
     Ch’in q̄l cōflitto: in q̄lla grā giornata
     De gli infideli più copia vccideſſi,
     E di ſua man preſtaſſe opra più grata.
     Contrari ai voti poi furo i ſucceſſi
     Ch’in fuga ando la gente battezata,
     E con molti altri fu ’l Duca prigione
     E reſto abbandonato il padiglione.

 [10]
Doue poi che rimaſe la donzella
     Ch’eſſer douea del vincitor mercede:
     Inanzi al caſo era ſalita in ſella:
     E quando biſogno le ſpalle diede:
     Preſaga che quel giorno eſſer rubella
     Douea Fortuna alla chriſtiana fede,
     Entro in vn boſco: e ne la ſtretta uia
     Rincontro vn cauallier ch’a pie venia.

 [11]
Indoſſo la corazza: l’elmo in teſta:
     La ſpada al fianco: e in braccio auea lo ſcudo
     E più leggier correa p la foreſta
     Ch’al pallio roſſo il villan mezzo ignudo,
     Timida paſtorella mai ſi preſta
     Non volſe piede inanzi a ſerpe crudo:
     Come Angelica toſto il freno torſe
     Che del guerrier: ch’apie venia: ſ’accorſe.

 [12]
Era coſtui quel paladin gagliardo
     Figliuol d’Amon ſignor di Montalbāo:
     A cui pur dianzi il ſuo deſtrier Baiardo
     Per ſtrano caſo vſcito era di mano,
     Come alla dōna egli drizzo lo ſguardo
     Riconobbe: quantunque di lontano:
     L’angelico ſembiante e quel bel volto
     Ch’all’amoroſe reti il tenea inuolto.

 [13]
La donna il palafreno a dietro volta
     E per la ſelua a tutta briglia il caccia:
     Ne per la rara più che per la folta
     La più ſicura e miglior via procaccia,
     Ma pallida, tremando: e di ſe tolta:
     Laſcia cura al deſtrier’che la via faccia.
     Di ſu di giu ne l’alta ſelua fiera
     Tanto giro: che venne a vna riuiera.

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 [14]
Su la riuiera Ferrau trouoſſe
     Di ſudor pieno: e tutto polueroſo,
     Da la battaglia dianzi lo rimoſſe
     Vn gran diſio di bere e di ripoſo.
     E poi: mal grado ſuo: quiui fermoſſe,
     Perche de l’acqua ingordo e frettoloſo
     L’elmo nel fiume ſi laſcio cadere
     Ne l’auea potuto ancho rihauere.

 [15]
Quanto potea più forte ne veniua
     Gridando la donzella iſpauentata,
     A quella voce ſalta in ſu la riua
     Il Saracino: e nel viſo la guata,
     E la conoſce ſubito ch’arriua:
     Benche di timor pallida e turbata:
     E ſien più di che non n’vdi nouella:
     Che ſenza dubbio ell’e Angelica bella.

 [16]
E perche era corteſe: e n’hauea forſe
     Non men de i dui cugini il petto caldo:
     L’aiuto che potea tutto le porſe
     Pur cōe haueſſe l’elmo ardito e baldo:
     Traſſe la ſpada: e minacciando corſe
     Doue poco di lui temea Rinaldo,
     Più volte s’eran gia non pur veduti:
     M’al paragon de l’arme conoſciuti.

 [17]
Cominciar quiui vna crudel battaglia
     Come a pie ſi trouar co i brandi ignudi.
     Non che le piaſtre e la minuta maglia:
     Ma a i colpi lor nō reggerian gl’incudi,
     Hor mentre l’un con l’altro ſi trauaglia,
     Biſogna al palafren che’l paſſo ſtudi:
     Che quanto puo menar de le calcagna
     Colei lo caccia al boſco e alla cāpagna.

 [18]
Poi che s’affaticar gran pezzo in vano
     I duo guerrier per por l’un l’altro ſotto
     Quādo nō meno era cō l’arme in mano
     Queſto di quel, ne quel di q̄ſto dotto:
     Fu primiero il Signor di Montalbano
     Ch’al cauallier di Spagna fece motto:
     Si come quel ch’ha nel cuor tanto fuoco
     Che tutto n’arde, e non ritroua loco.

 [19]
Diſſe al Pagan, me ſol creduto haurai
     E pur’haurai te meco anchora offeſo:
     Se queſto auuien, perche i fulgenti rai
     Del nuouo Sol t’habbino il petto acceſo
     Di farmi qui tardar che guadagno hai?
     Che qn̄ anchor tu m’habbi morto o p̄ſo
     Non perho tua la bella Donna fia
     Che mentre noi tardian ſe ne va via.

 [20]
Quāto fia meglio amādola tu anchora
     Che tu le venga a trauerſar la ſtrada
     A ritenerla e farle far dimora
     Prima che più lontana ſe ne vada:
     Come l’hauremo in poteſtate, allhora
     Di chi eſſer de ſi proui con la ſpada:
     Nō ſo altrimēti, dopo vn lungo affanno
     Che poſſa riuſcirci altro che danno.

 [21]
Al pagan la propoſta nō diſpiacque
     Coſi fu differita la tenzone:
     E tal tregua tra lor ſubito nacque
     Si l’odio e l’ira va in obliuione:
     Che’l Pagāo al partir da le freſche acqꝫ
     Nō laſcio a piedi il buō figliuol d’Amōe
     Cō preghi īuita, & al fin toglie īgroppa:
     E per l’orme d’Angelica galoppa.

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 [22]
O gran bōta de cauallieri antiqui
     Eran riuali, eran di fe diuerſi,
     E ſi ſentian de gli aſpri colpi iniqui
     Per tutta la perſona ancho dolerſi,
     E pur per ſelue oſcure e calli obliqui
     Inſieme van ſenza ſoſpetto hauerſi:
     Da quattro ſproni il deſtrier pūto arriua
     Oue vna ſtrada in due ſi dipartiua.

 [23]
E come quei che nō ſapean ſe l’una
     O l’altra via faceſſe la dōzella
     (Perho che ſenza differentia alcuna
     Apparia in amēdue l’orma nouella)
     Si meſſero ad arbitrio di Fortuna
     Rinaldo a queſta: il Saracino a quella:
     Pel boſco Ferrau molto ſ’auuolſe:
     E ritrouoſſi al fine onde ſi tolſe.

 [24]
Pur ſi ritroua anchor ſu la riuera
     La doue l’elmo gli caſco ne l’onde:
     Poi che la dōna ritrouar nō ſpera
     Per hauer l’elmo che’l fiume gli aſcōde
     In quella parte onde caduto gliera
     Diſcende ne l’eſtreme humide ſpōde:
     Ma quello era ſi fitto ne la ſabbia
     Cħ molto haura da far prīa che l’habbia.

 [25]
Con vn gran ramo d’albero rimōdo,
     Di c’hauea fatto vna pertica lunga:
     Tenta il fiume e ricerca ſino al fondo
     Ne loco laſcia oue nō batta e punga:
     Mētre, cō la maggior ſtizza del mōdo,
     Tanto l’indugio ſuo quiui prolunga
     Vede di mezo il fiume vn caualliero
     Inſino al petto vſcir d’aſpetto fiero,

 [26]
Era fuor che la teſta tutto armato
     Et hauea vn’elmo ne la deſtra mano:
     Hauea il medeſimo elmo che cercato
     Da Ferrau fu lungamente in vano:
     A Ferrau parlo come adirato
     E diſſe, ah mancator di fe Marano
     Perche di laſciar l’elmo āche t’aggreui
     Che render gia gran tempo mi doueui?

 [27]
Ricordati Pagan quando vccideſti
     D’Angelica il fratel (che ſon quell’io)
     Dietro all’altr’arme tu mi prometteſti
     Gittar fra pochi di l’elmo nel rio
     Hor ſe Fortuna: quel che nō voleſti
     Far tu, pone ad effetto il voler mio
     Nō ti turbare, e ſe turbar ti dei
     Turbati che di fe mancato ſei.

 [28]
Ma ſe deſir pur hai d’un’elmo fino
     Trouāe vn’altro, & habbil cō più honor̄
     Vn tal ne porta Orlando paladino,
     Vn tal Rinaldo, e forſe ancho migliore:
     L’un fu d’Almōte, e, l’altro di Mābrino:
     Acquiſta vn di quei duo col tuo valore
     E queſto ch’hai gia di laſciarmi detto,
     Farai bene a laſciarmi cō effetto.

 [29]
All’apparir che fece all’improuiſo
     De l’acqua l’ōbra, ogni pelo arriccioſſi
     E ſcoloroſſi al Saracino il viſo,
     La voce ch’era per vſcir fermoſſi:
     Vdendo poi da l’Argalia, ch’ucciſo
     Quiui hauea gia (cħ l’Argalia nomoſſi)
     La rotta fede coſi improuerarſe
     Di ſcorno e d’ira, dentro, e di fuor arſe

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 [30]
Ne tempo hauendo a penſar altra ſcuſa
     E conoſcendo ben che’l ver gli diſſe
     Reſto ſenza riſpoſta a bocca chiuſa:
     Ma la vergogna il cor ſi gli trafiſſe
     Che giuro per la vita di Lanfuſa
     Nō voler mai ch’altro elmo lo copriſſe:
     Se nō quel buono che gia in Aſpramōte
     Traſſe dal capo Orlādo al fiero Almōte.

 [31]
E ſeruo meglio queſto giuramento
     Che nō auea quell’altro fatto prima,
     Quindi ſi parte tanto mal cōtento
     Che molti giorni poi ſi rode e lima:
     Sol di cercare e il Paladino intento
     Di qua, di la doue trouarlo ſtima
     Altra ventura al buon Rinaldo accade
     Che da coſtui tenea diuerſe ſtrade.

 [32]
Non molto va Rinaldo che ſi vede
     Saltare inanzi il ſuo deſtrier feroce
     Ferma Baiardo mio, deh ferma il piede
     Che l’eſſer ſenza te troppo mi nuoce:
     Per q̄ſto il deſtrier ſordo a lui nō riede
     Anzi più ſe ne va ſempre veloce:
     Segue Rinaldo e d’ira ſi diſtrugge,
     Ma ſeguitiamo Angelica che fugge.

 [33]
Fugge tra ſelue ſpauentoſe e ſcure
     Per lochi inhabitati, ermi e ſeluaggi:
     Il mouer de le frondi e di verzure
     Che di cerri ſentia, d’olmi, e di faggi:
     Fatto le hauea con ſubite paure
     Trouar di qua: di la ſtrani viaggi:
     Ch’ad ogni ōbra veduta o ī mōte o ī valle,
     Temea Rinaldo hauer ſemp̄ alle ſpalle.

 [34]
Qual pargoletta o damma o capriuola
     Che tra le fronde del natio boſchetto
     Alla madre veduta habbia la gola
     Strīger dal pardo, o aprirle ’l fiāco o ’l petto
     Di ſelua in ſelua dal crudel ſ’inuola
     E di paura triema e di ſoſpetto:
     Ad ogni ſterpo che paſſando tocca
     Eſſer ſi crede all’empia fera in bocca.

 [35]
Quel di e la notte a mezzo l’altro giorno
     S’ando aggirando, e non ſapeua doue
     Trouoſſi al fine in vn boſchetto adorno
     Che lieuemente la freſca aura muoue
     Duo chiari riui mormorando intorno
     Sempre l’herbe vi fan tenere e nuoue
     E rendea ad aſcoltar dolce cōcento
     Rotto tra picciol ſaſſi, il correr lento.

 [36]
Quiui parendo a lei d’eſſer ſicura
     E lontana a Rinaldo mille miglia:
     Da la via ſtanca e da l’eſtiua arſura
     Di ripoſare alquanto ſi conſiglia,
     Tra fiori ſmonta, e laſcia alla paſtura
     Andare il palafren ſenza la briglia:
     E q̄l va errādo intorno alle chiare onde
     Cħ di freſca herba haueā piene le ſpōde

 [37]
Ecco non lungi vn bel ceſpuglio vede
     Di prun fioriti e di vermiglie roſe:
     Che de le liq̄de onde al ſpecchio ſiede
     Chiuſo dal Sol fra l’alte q̄rcie ombroſe,
     Coſi voto nel mezo, che cōcede
     Freſca ſtanza fra l’ombre più naſcoſe,
     E la foglia coi rami in modo e miſta
     Che ’l Sol nō v’entra, nō cħ minor viſta.

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 [38]
Dentro letto vi fan tenere herbette
     Ch’inuitano a poſar chi ſ’appreſenta:
     La bella dōna in mezzo a quel ſi mette
     Iui ſi corca, & iui s’addormenta:
     Ma nō per lungo ſpatio coſi ſtette
     Che vn calpeſtio le par che venir ſenta:
     Cheta ſi leua, e appreſſo alla riuiera
     Vede ch’armato vn Cauallier giunt’era

 [39]
Segli e amico o nemico non comprende
     Tema e ſperāza il dubbio cuor le ſcuote
     E di quella auentura il fine attende
     Ne pur d’un ſol ſoſpir l’aria percuote:
     Il caualliero in riua al fiume ſcende
     Sopra l’un braccio a ripoſar le gote:
     E in ſuo gran penſier tanto penetra
     Che par cangiato in inſenſibil pietra.

 [40]
Penſoſo più d’un’hora a capo baſſo
     Stette Signore il cauallier dolente:
     Poi comincio cō ſuono afflitto e laſſo
     A lamentarſi ſi ſoauemente:
     C’haurebbe di pieta ſpezzato vn ſaſſo:
     Vna tygre crudel fatta clemente
     Soſpirando piangea, tal ch’un ruſcello
     Pareā le guācie, e’l petto vn Mōgibello.

 [41]
Pēſier (dicea) ch’l cor m’agghiacci & ardi
     E cauſi il duol che ſempre il rode e lima,
     Che debbo far? poi ch’io ſon giūto tardi
     E ch’altri a corre il frutto e ādato prima,
     A pena hauuto io n’ho parole e ſguardi
     Ed altri n’ha tutta la ſpoglia opima:
     Se non ne tocca a me frutto ne fiore
     Perche affligger p lei mi vuo’ più il core?

 [42]
La verginella e ſimile alla roſa
     Ch’in bel giardin’ſu la natiua ſpina
     Mentre ſola e ſicura ſi ripoſa
     Ne gregge ne paſtor ſe le auuicina:
     L’aura ſoaue, e l’alba rugiadoſa
     L’acqua, la terra al ſuo fauor s’inchina:
     Gioueni vaghi e donne inamorate
     Amano hauerne, e ſeni, e tempie, ornate.


 [43]
Ma nō ſi toſto dal materno ſtelo
     Rimoſſa viene, e dal ſuo ceppo verde
     Che quāto hauea dagli huoī e dal cielo
     Fauor gratia e bellezza tutto perde,
     La vergine che’l fior, di che più zelo
     Che de begliocchi, e de la vita, hauer de
     Laſcia altrui corre, il p̄gio c’hauea ināti
     Perde nel cor di tutti glialtri amanti.

 [44]
Sia vile a glialtri, e da quel ſolo amata
     A cui di ſe fece ſi larga copia
     Ah Fortuna crudel Fortuna ingrata
     Triōphan glialtri, e ne moro io d’inopia:
     Dūqꝫ eſſer puo che non mi ſia più grata?
     Dunqꝫ io poſſo laſciar mia vita propia?
     Ah più toſto hoggi manchino i di miei
     Ch’io viua piu, s’amar non debbo lei.

 [45]
Se mi domanda alcun chi coſtui ſia
     Che verſa ſopra il rio lachryme tante
     Io diro ch’egli e il Re di Circaſſia:
     Quel d’amor trauagliato Sacripante:
     Io diro anchor che di ſua pena ria
     Sia prima e ſola cauſa eſſere amante,
     E pur’vn de gli amanti di coſtei
     E ben riconoſciuto fu da lei.

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 [46]
Appreſſo oue il Sol cade per ſuo amore
     Venuto era dal capo d’Oriente:
     Che ſeppe in India con ſuo gran dolore
     Come ella Orlando ſequito in ponente:
     Poi ſeppe in Francia che l’Imperatore
     Sequeſtrata l’hauea da l’altra gente,
     Per darla all’un de duo cħ cōtra il Moro
     Più quel giorno aiutaſſe i gigli d’oro.

 [47]
Stato era in cāpo e īteſo hauea di quella
     Rotta crudel che diāzi hebbe Re Carlo
     Cerco veſtigio d’Angelica bella
     Ne potuto hauea anchora ritrouarlo:
     Queſta e dunque la triſta e ria nouella
     Che d’amoroſa doglia fa penarlo
     Affligger, lamentare, e dir parole
     Che di pieta potrian fermare il Sole.

 [48]
Mentre coſtui coſi s’affligge e duole
     E fa de gliocchi ſuoi tepida Fonte
     E dice queſte e molte altre parole
     Che non mi par biſogno eſſer racconte:
     L’auenturoſa ſua Fortuna vuole
     Ch’alle orecchie d’Angelica ſian conte:
     E coſi quel ne viene a vn’hora, a vn pūto
     Ch’in mille āni, o mai più nō e raggiūto.

 [49]
Con molta attenzion la bella donna
     Al pianto alle parole, al modo attende
     Di colui ch’in amarla non aſſonna:
     Ne queſto e il primo di ch’ella l’intende,
     Ma dura e fredda più d’una colonna
     Ad hauerne pieta non perho ſcēde:
     Come colei c’ha tutto il mōdo a ſdegno
     E non le par ch’alcun ſia di lei degno.

 [50]
Pur tra quei boſchi il ritrouarſi ſola
     Le fa penſar di tor coſtui per guida:
     Che chi ne l’acqua ſta fin’alla gola
     Ben’e oſtinato ſe merce non grida
     Se queſta occaſione hor ſe l’inuola
     Non trouera mai più ſcorta ſi fida
     Ch’a lunga proua conoſciuto inante
     S’hauea q̄l Re fedel ſopra ogni amāte.

 [51]
Ma non perho diſegna de l’affanno
     Che lo diſtrugge, alleggierir chi l’ama,
     E riſtorar d’ogni paſſato danno
     Cō q̄l piacer ch’ogni amator più brama:
     Ma alcuna fintione alcuno inganno
     Di tenerlo in ſperanza ordiſce e trama:
     Tanto ch’a q̄l biſogno ſe ne ſerua
     Poi torni all’uſo ſuo dura e proterua.

 [52]
E fuor di quel ceſpuglio oſcuro e cieco
     Fa di ſe bella & improuiſa moſtra,
     Come di ſelua, o fuor d’ombroſo ſpeco
     Diana in Scena o Cytherea ſi moſtra:
     E dice all’apparir pace ſia teco
     Teco difenda Dio la fama noſtra:
     E non comporti contra ogni ragione
     C’habbi di me ſi falſa opinione.

 [53]
Non mai con tāto gaudio o ſtupor tanto
     Leuo gli occhi al figliuolo alcuna madre
     C’hauea per morto ſoſpirato e pianto
     Poi cħ ſenza eſſo vdi tornar le ſquadre:
     Con quāto gaudio il Saracin, con quāto
     Stupor: l’alta preſenza, e le leggiadre
     Maniere, e il vero angelico ſembiante
     Improuiſo apparir ſi vide inante.

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 [54]
Pieno di dolce, e d’amoroſo affetto
     Alla ſua donna, alla ſua diua corſe,
     Che cō le braccia al collo il tēne ſtretto
     Quel ch’al Catai non hauria fatto forſe:
     Al patrio regno al ſuo natio ricetto
     Seco hauendo coſtui, l’animo torſe,
     Subito in lei ſ’auuiua la ſperanza
     Di toſto riueder ſua ricca ſtanza.

 [55]
Ella gli rende conto pienamente
     Dal giorno che mandato fu da lei
     A domandar ſoccorſo in Oriente
     Al Re de Sericani Nabatei,
     E come Orlando la guardo ſouente
     Da morte, da diſnor, da caſi rei:
     E che’l fior virginal coſi hauea ſaluo
     Come ſe lo porto del materno aluo.

 [56]
Forſe era ver, ma non perho credibile
     A chi del ſenſo ſuo foſſe ſignore:
     Ma parue facilmente a lui poſſibile
     Ch’era perduto in via più graue errore:
     Quel cħ l’huō vede Amor gli fa īuiſibile
     E l’inuiſibil fa vedere Amore:
     Queſto creduto fu, che’l miſer ſuole
     Dar facile credenza a quel che vuole.

 [57]
Se mal ſi ſeppe il cauallier d’Anglante
     Pigliar p ſua ſciocchezza il tēpo buono
     Il danno ſe ne haura, che da qui inante
     Nol chiamera Fortuna a ſi gran dono:
     (Tra ſe tacito parla Sacripante)
     Ma io per imitarlo gia non ſono:
     Che laſci tanto ben che m’e conceſſo
     E ch’a doler poi m’abbia di me ſteſſo.

 [58]
Corro la freſca e matutina roſa
     Che tardando ſtagion perder potria:
     So ben ch’a donna non ſi puo far coſa
     Che più ſoaue e più piaceuol ſia:
     Anchor che ſe ne moſtri diſdegnoſa
     E talhor meſta e flebil ſe ne ſtia:
     Non ſtaro per repulſa o finto ſdegno
     Ch’io nō adōbri e īcarni il mio diſegno

 [59]
Coſi dice egli, e mentre s’apparecchia
     Al dolce aſſalto, vn grā rumor cħ ſuona
     Dal vicin boſco, gl’intruona l’orecchia,
     Si che mal grado, l’impreſa abbandona:
     E ſi pon l’elmo (c’hauea vſanza vecchia
     Di portar ſempre armata la perſona:)
     Viene al deſtriero, e gli ripon la briglia
     Rimonta in ſella e la ſua lancia piglia.

 [60]
Ecco pel boſco vn cauallier venire
     Il cui ſēbiāte e d’huom gagliardo e fiero
     Candido come nieue e il ſuo veſtire:
     Vn bianco pennoncello ha per cimiero:
     Re Sacripante che non puo patire
     Che quel con l’importuno ſuo ſentiero
     Glihabbia interrotto il grā piacer c’hauea
     Con viſta il guarda diſdegnoſa e rea.

 [61]
Come e più preſſo lo ſfida a battaglia
     Che crede ben fargli votar l’arcione:
     Quel che di lui nō ſtimo gia che vaglia
     Vn grano meno, e ne fa paragone,
     L’orgoglioſe minacce a mezzo taglia:
     Sprona a vn tēpo, e la lancia ī reſta pone
     Sacripante ritorna con tempeſta
     E corronſi a ferir teſta per teſta.

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 [62]
Non ſi vanno i Leoni, o i Tori in ſalto
     A dar di petto ad accozzar ſi crudi
     Si come i duo guerrieri al fiero aſſalto
     Che parimente ſi paſſar gli ſcudi:
     Fe lo ſcontro tremar dal baſſo all’alto
     L’herboſe valli inſino ai poggi ignudi
     E ben giouo che fur buoni e perfetti
     Glioſberghi ſi, che lor ſaluaro i petti.

 [63]
Gia non fero i caualli vn correr torto
     Anzi cozzaro a guiſa di montoni,
     Quel del Guerrier pagan mori di corto
     Ch’era viuendo in numero de buoni:
     Quell’altro cadde āchor, ma fu riſorto
     Toſto ch’al fianco ſi ſenti gli ſproni:
     Quel del Re ſaracin reſto diſteſo
     Adoſſo al ſuo Signor con tutto il peſo.

 [64]
L’incognito campion che reſto ritto
     E vide l’altro col cauallo in terra
     Stimando hauere aſſai di quel conflitto
     Non ſi curo di rinouar la guerra:
     Ma doue per la ſelua e il camin dritto
     Correndo a tutta briglia ſi diſſerra:
     E prima che di briga eſca il pagano
     Vn miglio o poco meno: e gia lontano.

 [65]
Qual iſtordito e ſtupido aratore
     Poi ch’e paſſato il fulmine ſi leua
     Di la: doue l’altiſſimo fragore
     Appreſſo ai morti buoi ſteſo l’haueua
     Che mira ſenza fronde e ſenza honore
     Il Pin che di lontan veder ſoleua:
     Tal ſi leuo il Pagano, a pie rimaſo
     Angelica preſente al duro caſo.

 [66]
Soſpira e geme, non perche l’annoi
     Cħ piede o braccia ſ’habbi rotto o moſſo
     Ma per vergogna ſola, onde a di ſuoi
     Ne pria ne dopo il viſo ebbe ſi roſſo,
     E più ch’oltre il cader, ſua donna poi
     Fu che gli tolſe il gran peſo d’adoſſo
     Muto reſtaua, mi cred’io, ſe quella
     Non gli rendea la voce e la fauella.

 [67]
Deh! (diſs’ella) Signor non vi rincreſca
     Che del cader non e la colpa voſtra:
     Ma del cauallo, a cui ripoſo & eſca
     Meglio ſi cōuenia che nuoua gioſtra:
     Ne pcio q̄l guerrier ſua gloria accreſca
     Che d’eſſer ſtato il perditor dimoſtra:
     Coſi, per quel ch’io me ne ſappia, ſtimo
     Quādo a laſciare il cāpo e ſtato primo.

 [68]
Mentre coſtei conforta il Saracino
     Ecco col corno, e cō la taſca al fianco
     Galoppando venir ſopra vn ronzino
     Vn meſſagger, cħ parea afflitto e ſtāco
     Che come a Sacripante fu vicino
     Gli dōando, ſe con vn ſcudo bianco
     E con vn bianco pennoncello in teſta
     Vide vn guerrier paſſar per la foreſta.

 [69]
Riſpoſe Sacripante: come vedi
     M’ha q̄ abbattuto, e ſe ne parte hor’hora
     E pch’io ſappia chi m’ha meſſo a piedi
     Fa che per nome io lo conoſca anchora
     Ed egli a lui, di quel che tu mi chiedi
     Io ti ſatiſfaro ſenza dimora
     Tu dei ſaper che ti leuo di ſella
     L’alto valor d’una gentil donzella.

[p. 14 modifica]


 [70]
Ella e gagliarda ed e più bella molto;
     Ne il ſuo famoſo nome anco t’aſcondo:
     Fu Bradamante quella che t’ha tolto
     Quanto onor mai tu guadagnaſti al mondo. —
     Poi ch’ebbe coſi detto, a freno ſciolto
     Il Saracin laſcio poco giocondo,
     Che non ſa che ſi dica o che ſi faccia,
     Tutto auuampato di vergogna in faccia.

 [71]
Poi che gran pezzo al caſo interuenuto
     Ebbe penſato inuano, e finalmente
     Si trouo da vna femina abbattuto,
     Che penſandoui piu, più dolor ſente;
     Monto l’altro deſtrier, tacito e muto:
     E ſenza far parola, chetamente
     Tolſe Angelica in groppa, e differilla
     A più lieto vſo, a ſtanza più tranquilla.

 [72]
Non furo iti due miglia, che ſonare
     Odon la ſelua che li cinge intorno,
     Con tal rumore e ſtrepito, che pare
     Che triemi la foreſta d’ogn’intorno;
     E poco dopo vn gran deſtrier n’appare,
     D’oro guernito e riccamente adorno,
     Che ſalta macchie e riui, ed a fracaſſo
     Arbori mena e cio che vieta il paſſo.

 [73]
— Se l’intricati rami e l’aer foſco,
     (diſſe la donna) agli occhi non contende,
     Baiardo e quel deſtrier ch’in mezzo il boſco
     Con tal rumor la chiuſa via ſi fende.
     Queſto e certo Baiardo, io ’l riconoſco:
     Deh, come ben noſtro biſogno intende!
     Ch’un ſol ronzin per dui ſaria mal atto,
     E ne viene egli a ſatiſfarci ratto. —

 [74]
Smonta il Circaſſo ed al deſtrier ſ’accoſta,
     E ſi penſaua dar di mano al freno.
     Colle groppe il deſtrier gli fa riſpoſta,
     Che fu preſto al girar come vn baleno;
     Ma non arriua doue i calci appoſta:
     Miſero il cauallier ſe giungea a pieno!
     Che nei calci tal poſſa auea il cauallo,
     Ch’auria ſpezzato vn monte di metallo.

 [75]
Indi va manſueto alla donzella,
     Con vmile ſembiante e geſto vmano,
     Come intorno al padrone il can ſaltella,
     Che ſia duo giorni o tre ſtato lontano.
     Baiardo ancora auea memoria d’ella,
     Ch’in Albracca il ſeruia gia di ſua mano
     Nel tempo che da lei tanto era amato
     Rinaldo, allor crudele, allor ingrato.

 [76]
Con la ſiniſtra man prende la briglia,
     Con l’altra tocca e palpa il collo e ’l petto:
     Quel deſtrier, ch’auea ingegno a marauiglia,
     A lei, come vn agnel, ſi fa ſuggetto.
     Intanto Sacripante il tempo piglia:
     Monta Baiardo e l’urta e lo tien ſtretto.
     Del ronzin diſgrauato la donzella
     Laſcia la groppa, e ſi ripone in ſella.

 [77]
Poi riuolgendo a caſo gli occhi, mira
     Venir ſonando d’arme vn gran pedone.
     Tutta ſ’auuampa di diſpetto e d’ira,
     Che conoſce il figliuol del duca Amone.
     Più che ſua vita l’ama egli e deſira;
     L’odia e fugge ella più che gru falcone.
     Gia fu ch’eſſo odio lei più che la morte;
     Ella amo lui: or han cangiato ſorte.