Orlando innamorato/Libro terzo/Canto sesto

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Libro terzo

Canto sesto

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Libro terzo - Canto quinto Libro terzo - Canto settimo

 
1   Segnor, se alcun di voi sente de amore,
     Pensati che battaglia avranno a fare
     Que’ duo, che insieme agionto aveano il core,
     Né volevan l’un l’altro abandonare.
     La fulmina del cel con suo furore
     Non gli potrebbe a forza separare;
     Né spietata fortuna e non la morte
     Può disgiongere amor cotanto forte.

2   Come io contava, il nobile Rugiero
     Sopra de Pinador forte martella;
     L’elmo gli ruppe e spennacchiò il cimiero:
     Quasi a quel colpo lo trasse di sella.
     Da l’altra parte Martasino il fiero
     Non avantaggia ponto la donzella,
     La qual sempre cridava: - Ascolta! ascolta!
     Non me trovi senza elmo a questa volta. -

3   Così dicendo a duo man l’ha ferito
     De un colpo tanto orrendo e smisurato,
     Che sopra de lo arcion è tramortito:
     E veramente lo mandava al prato,
     Ma in quel Mordante, il saracino ardito,
     Correndo alla donzella urtò da lato,
     Ferendola a duo man de un roversone
     Che fu per trarla fuora de lo arcione.

4   Ma Rugier presto venne ad aiutare,
     Lasciando Pinador che aveva avante;
     Però che, benché assai abbia da fare,
     Sempre voltava gli occhi a Bradamante.
     Or sembra il giovanetto un vento in mare:
     Spezza in due parte il scudo di Mordante,
     Taglia le piastre e usbergo tutto netto,
     Ed anco alquanto lo ferì nel petto.

5   Ma Pinadoro, che lo avea seguito,
     Percosse a mezo il collo il paladino,
     E tagliò la gorziera più de un dito:
     Tenne il camaglio el brando, ché era fino.
     Non si spaventa il giovanetto ardito:
     Tondo de un salto rivoltò Frontino,
     E mena a Pinadoro in su la testa;
     E Martasino a lui, che già non resta.

6   Mentre che questa zuffa se scompiglia,
     Daniforte se afronta e viene in tresca
     Con circa a trenta della sua famiglia,
     Con targhe e lancie armati alla moresca.
     Bradamante ver loro alciò le ciglia:
     Come starà cotal canaglia fresca,
     Che armati son di sàmito e di tela!
     Oh che squarcioni andran per l’aria a vela!

7   Urta tra lor la dama e il brando mena,
     E gionse un moro in su un gianetto bianco,
     Che coda e chioma avia tinto de alchena;
     Lei tagliò il nero dalla spalla al fianco.
     Non era a terra quel caduto apena,
     Che afronta uno Arbo, e fece più ni manco;
     La spada adosso in quel modo gli calla,
     Sì che il partì dal fianco in su la spalla.

8   Quasi che insieme tutti ebber la morte;
     Chi qua chi là per el campo cascava,
     E quando il primo bussava alle porte
     Giù dello inferno, lo ultimo arivava.
     Più fiate la assalitte Daniforte;
     Ma, come Bradamante a lui voltava,
     Quel fugge e sguincia, e ponto non aspetta,
     E torna e volta, e sembra una saetta.

9   Egli avea sotto una iumenta mora,
     Di pel di ratta, con la testa nera,
     Che in su la terra mai non se dimora
     Con tutti e piedi, tanto era legiera.
     Vero è che in dosso avia poche arme ancora,
     Ché non portava usbergo né lamiera:
     La tòcca ha in testa, e la lancia e la targa,
     E cinta al petto una spadazza larga.

10 Armato come io dico, il saracino
     Tenea sovente la dama aticciata;
     Or corre, e volta poi che gli è vicino,
     Or da traverso mena una lanciata.
     Ecco la dama ha visto Martasino,
     Che al suo Rugier ferisce della spata:
     Di dietro il tocca, sopra delle spalle,
     E ben si crede di mandarlo a valle.

11 Ma Bradamante vi gionse a quel ponto
     Che Rugiero ebbe il colpo smisurato;
     Balordito era e sì come defonto
     Al col del suo destrier stava abracciato.
     Or bene a tempo è quel soccorso agionto,
     Perché certo altrimente era spacciato;
     Ma come gionse, la dama felice
     Parve un falcone entrato a le pernice.

12 Insieme Martasino e Pinadoro
     A lei voltarno, e gionsevi Mordante
     E Daniforte, e molti altri con loro:
     Chi la tocca di dietro, e chi davante.
     Ma lei, che di prodezza era un tesoro,
     Dispreza l’altre gente tutte quante;
     Tocca sol Martasino e quel travaglia,
     Né cura il resto che de intorno abaglia.

13 Tanto adirata è la dama valente,
     Che Martasin conduce a rio partito;
     La sua prodezza a lui giova nïente,
     Spezzato ha l’elmo e nel petto è ferito.
     Né vi giova il soccorso de altra gente;
     La dama nel suo core ha statuito
     Che ad ogni modo in questa zuffa e’ mora,
     E ben col brando a cerco gli lavora.

14 Al fin turbata e con molta tempesta
     De coprirse col scudo non ha cura,
     E ferillo a due man sopra alla testa:
     Divide il capo e parte ogni armatura.
     Quella tagliente spada non se arresta,
     Ché tutto il fende insino alla centura;
     Nel tempo che a quel modo lo divide,
     Rugier rivenne e quel bel colpo vide.

15 Torna alla zuffa il giovanetto forte,
     Sì rosso in vista che sembrava un foco:
     Guardative, Pagan, ché el vien la morte!
     A zaro il resto, ormai non vi è più gioco.
     E ben se avide il falso Daniforte
     Che il contrastar più qua non avea loco:
     Già morto è Martasino e Barigano,
     Quaranta e più de gli altri sono al piano.

16 Esso è rimaso e seco Pinadoro,
     Circa ad otto altri ancora, con Mordante.
     Tagliava allora il capo a un barbasoro
     La dama, e gli altri avea morti davante.
     Intanto insieme consigliâr costoro
     Che Daniforte attenda a Bradamante
     E conducala via, mostrando fuggere,
     Gli altri Rugiero attendano a destruggere.

17 Era già gionto il giovanetto al ballo,
     E stranamente incominciò la danza,
     Ché incontrò un rebatin sopra al cavallo,
     E tutto lo partì sino alla panza.
     Non avea intorno pezzo di metallo,
     Perché era armato pure a quella usanza,
     Moresca, dico, essendo Genoese:
     Ma con la fede avea cambiato arnese.

18 Rugier lo occise, e un altro a canto ad esso.
     Né Bradamante ancora se posava;
     Ma Daniforte occultamente apresso
     Di lei se fece e sua lancia menava.
     Là dove il sbergo alla giontura è fesso,
     Colse, ma poco dentro ve ne entrava,
     Ché forte mai non mena quel che dubita:
     La dama se voltò turbata e subita.

19 Già Daniforte ponto non la aspetta,
     Né star con seco a fronte gli bisogna;
     Lei con li sproni il suo destriero afretta,
     Ché voglia ha di grattare a quel la rogna.
     Serìa scappato come una saetta,
     Ma non volea, quel pezzo di carogna,
     Che va trottone e lamentase ed urla,
     Mostrando stracco sol per via condurla.

20 Gli altri a Rugiero intorno combattevano,
     Io dico Pinadoro e il re Mordante,
     Che circa a sei de’ suoi ancor vi avevano,
     E di dietro il toccavano e davante,
     Usando ogni vantaggio che sapevano.
     Ma lascio loro e torno a Bradamante,
     Che dietro a Daniforte invelenita
     Lo vôl seguire a sua vita finita.

21 E quel malvaggio spesso se rivolta,
     Aspettala vicino, e poi calcagna,
     E per un pezzo fugge alla disciolta,
     Poi va galoppo e il corso risparagna,
     Tanto che di quel loco l’ebbe tolta,
     E furno usciti fuor de la campagna,
     Che tutta è chiusa de monti de intorno,
     Ove era stata la battaglia il giorno.

22 Il falso saracin monta a la costa
     E scende ad un bel pian da l’altro lato.
     Bradamante lo segue, ché è disposta
     Non lo lasciar se non morto o pigliato;
     E non prendendo al lungo corso sosta,
     Il suo destriero afflitto ed affannato,
     Sendo già in piano, al transito d’un fosso,
     Non potendo più andar gli cade adosso.

23 E Daniforte, che sentì il stramaccio,
     Presto se volta, e stracco non par più,
     Dicendo: - Cristïan, di questo laccio
     Ove èi caduto, non uscirai tu. -
     Or Bradamante col sinistro braccio
     Pinse il ronzon da lato, e levò su,
     E forte crida: - Falso saracino,
     Ancor non m’hai legata al tuo domìno. -

24 Pur Daniforte de intorno la agira,
     E de improviso spesso la assalisse;
     Or mostra de assalirla, e se ritira,
     Ed a tal modo il falso la ferisse.
     La dama gionta a l’ultimo se mira,
     E tacita parlando fra sé disse:
     "Io spargo il sangue e l’anima se parte,
     Se io non colgo costui con la sua arte."

25 Così con seco tacita parlava,
     Mostrandosi ne gli atti sbigotita,
     Né molta finzïon gli bisognava,
     Però che in molte parte era ferita,
     E il sangue sopra l’arme rosseggiava.
     Or, mostrando cadere alla finita,
     Andar se lascia e in tal modo se porta,
     Che giuraria ciascun che fusse morta.

26 E quel malicïoso ben se mosse,
     Ma de smontare a terra non se attenta,
     E prima con la lancia la percosse
     Per veder se de vita fusse ispenta;
     La dama lo sofferse e non se mosse,
     E quello smonta e lega la iumenta;
     Ma come Bradamante in terra il vede,
     Non par più morta e fu subito in piede.

27 Ora non puote il pagan maledetto,
     Come suoleva, correre e fuggire;
     La dama il capo gli tagliò di netto
     E lasciòl possa a suo diletto gire.
     La ombra era grande già per quel distretto,
     E cominciava il celo ad oscurire:
     Non sa quella donzella ove se sia,
     Ché condotta era qua per strana via.

28 Per boschi e valle, e per sassi e per spine
     Avea correndo il pagan seguitato,
     E non vedeva per quelle confine
     Abitacolo o villa in verun lato.
     Salitte sopra la iumenta in fine,
     E caminando uscitte di quel prato;
     Ferita e sola, a lume de la luna
     Abandonò la briglia alla fortuna.

29 Lasciamo andare alquanto Bradamante,
     Poi di lei seguiremo e soa ventura,
     E ritorniamo ove io lasciai davante
     Rugier lo ardito alla battaglia dura.
     Il re di Constantina con Mordante,
     Che non han di vergogna alcuna cura,
     Gli sono intorno per farlo cadere,
     E ciascun de essi tocca a più potere.

30 Oh chi vedesse il giovanetto ardito,
     Come a ponto divide il tempo a sesto,
     Che non ne perde nel ferire un dito!
     Or quinci or quindi tocca, or quello or questo;
     Apena par che l’uno abbia ferito,
     Che volta a l’altro, e mena così presto
     Che con minor distanzia e tempo meno
     Fulmina a un tratto e seguita il baleno.

31 E per non vi seguir sì lunga traccia,
     La cosa presto presto vi disgroppo.
     Mordante, che assalirlo se procaccia,
     Ebbe tra questo assalto un strano intoppo:
     Fu ferito a traverso nella faccia,
     E via volò de l’elmo tutto il coppo;
     Meza la testa è ne lo elmo che vola,
     Rimase il resto al busto con la gola.

32 Non avea fatto questo colpo apena,
     Che a Pinador voltò, che era da lato,
     E nel voltarse lo assalisce e mena;
     Ma quello era già tanto spaventato,
     Che parea un veltro uscito di catena,
     Fuggendo a tutta briglia per il prato.
     Fuggito essendo per sassi e per valle,
     Rugier gli tolse il capo dalle spalle.

33 Era già il sole allo occidente ascoso,
     Quando finita è la battaglia dura;
     Allor guardando il giovane amoroso
     Di Bradamante cerca e di lei cura,
     Né trova nel pensiero alcun riposo.
     Per tutto a cerco è già la notte oscura:
     Veder non può colei che cotanto ama,
     Ma guarda intorno e ad alta voce chiama.

34 Passando per costiere e per valloni,
     Trovò duo cavallieri ad un poggetto,
     E sentendo il scalpizzo de’ ronzoni
     Prese alcuna speranza il giovanetto;
     Ma come a lui parlarno que’ baroni,
     Che il salutarno de animo perfetto,
     Tanto cordoglio l’animo gli assale,
     Che non rispose a lor ni ben ni male.

35 - Costui certo debbe esser un villano,
     Che avrà spogliato l’arme a qualche morto! -
     Disser que’ duo; ma il giovanetto umano
     Rispose: - Veramente io ebbi il torto.
     Amor, che ha del mio cor la briglia in mano,
     Me ha da lo intendimento sì distorto,
     Che quel che esser soleva, or più non sono,
     E del mio fallo a voi chiedo perdono. -

36 Disse un de’ duo baroni: - O cavalliero,
     Se inamorato sei, non far più scusa:
     Tua gentilezza provi de legiero,
     Perché in petto villano amor non usa;
     E se di nostro aiuto hai de mestiero,
     Alcun di noi servirti non recusa. -
     Rispose a lui Rugiero: - Ora mi lagno,
     Perché ho perduto un mio caro compagno.

37 Se lo avesti sentito indi passare,
     Mostratimi il camin per cortesia;
     Per tutto il mondo lo voglio cercare:
     Senza esso certo mai non viveria. -
     Così dicea Rugiero, e palesare
     Altro non volse, sol per zelosia;
     Però che il dolce amore in gentil petto
     Amareggiato è sempre di sospetto.

38 Negarno e duo baroni aver sentito
     Passare alcuno intorno a quel distretto,
     E ciascadun di lor si è proferito
     De accompagnar cercando il giovanetto;
     Ed esso volentier prese lo invito,
     Ché se trovava in quel loco soletto,
     Dico in quel monte diserto e salvatico,
     Ed esso del paese era mal pratico.

39 Tutti e tre insieme adunque cavalcando,
     Avosavano intorno spessamente,
     Per ogni loco del monte cercando
     Tutta la notte, e trovarno nïente.
     E già veniva l’alba reschiarando,
     La luce rosseggiava in orïente,
     Quando un de quei baron tutto se affisse
     Mirando il scudo de Rugiero, e disse:

40 - Chi vi ha concessa, cavallier, licenzia
     Portar depenta al scudo quella insegna?
     Il suo principio è di tanta eccellenzia,
     Che ogni persona de essa non è degna.
     Ciò vi comportarò con pacïenzia,
     Se tal virtù nel corpo vostro regna,
     Che alla battaglia riportati lodo
     Contro di me, che l’ho acquistata e godo. -

41 Disse Rugiero: - Ancor non mi ero accorto
     Che quella insegna è fatta come questa;
     E veramente la portati a torto,
     Se non siamo discesi de una gesta;
     Onde vi prego molto e vi conforto
     Che tal cosa facciati manifesta:
     Ove acquistasti tale insegna e come,
     E quale è vostra stirpe e vostro nome. -

42 Disse colui: - Da parte assai lontane
     A vostra stirpe credo esser venuto;
     Tartaro sono e nacqui de Agricane,
     Mio nome ancora è poco cognosciuto.
     Per forza de arme ed aventure istrane
     In Asia conquistai questo bel scuto;
     Ma a che bisogna dare incenso a’ morti?
     Chi ha più prodezza, quello scudo porti. -

43 Rugier, poi che lo invito ebbe accettato,
     Giva il nimico a cerco rimirando:
     Vide che spata non avea a lato,
     E disse a lui: - Voi sete senza brando:
     Come faremo, ché io non sono usato
     Giocare a pugni? E però vi adimando
     Quale esser debba la contesa nostra:
     Brando non vi è né lancia per far giostra. -

44 Rispose il cavallier: - Mai non vien manco
     Fortuna de arme a franco campïone;
     Le vostre acquistarò, se io non mi stanco:
     Acquistar le voglio io con un bastone.
     Portar non posso brando alcuno al fianco,
     Se io non abatto il figlio di Melone,
     Però che Orlando, la anima soprana,
     Tien la mia spata, detta Durindana. -

45 L’altro compagno di quel cavalliero
     (Che era Gradasso, ed esso è Mandricardo)
     Presto rispose: - E’ vi falla il pensiero,
     Perché quel brando del conte gagliardo
     Sì non acquistareti de legiero,
     Ché gionto seti a tale impresa tardo,
     E serìa vostra causa disonesta:
     Prima di voi io venni a questa inchiesta.

46 Cento cinquanta millia combattanti
     Condussi in Francia fin de Sericana;
     Tante pene soffersi, affanni tanti,
     Per acquistare il brando Durindana!
     Par che il mercato sii fatto a contanti,
     Così faceti voi la cosa piana;
     Ma prima che il pensier vostro se adempia,
     Farò scadervi l’una e l’altra tempia.

47 Né vi crediati senza mia contesa
     Aver per zanze quel brando onorato. -
     E Mandricardo di collera accesa
     Disse: - Io so che di zanze è bon mercato:
     Or vi aconciati e prendeti diffesa. -
     Così dicendo ad uno olmo in quel prato
     Un grosso tronco tra le rame scaglia,
     E quel sfrondando viene alla battaglia.

48 Gradasso il brando pose anco esso in terra,
     E spiccò presto un bel fusto di pino;
     L’un più che l’altro gran colpi disserra
     E fuor de l’arme scuoteno il polvino.
     Stava Rugiero a remirar tal guerra
     E scoppiava de riso il paladino,
     Dicendo: - A benché io non veda chi màsini,
     Quel gioco è pur de molinari e de asini. -

49 Più fiate volse la zuffa partire:
     Come più dice, ogniom più se martella.
     Eccoti un cavalliero ivi apparire
     Accompagnato da una damigella.
     Rugier da longi lo vidde venire;
     Fassegli incontro e con dolce favella
     Espose a lui ridendo la cagione
     Perché faceano e duo quella tenzone.

50 Dicea Rugiero: - Io gli ho pregati in vano,
     Ma di partirli ancor non ho potere.
     Per la spata de Orlando, che non hano,
     E forse non sono anco per avere,
     Tal bastonate da ciechi se dano,
     Che pietà me ne vien pur a vedere:
     E certo di prodezza e di possanza
     Son due lumiere agli atti e alla sembianza.

51 Ma voi diceti: onde seti venuto?
     Perché, se io non me inganno nel sembiante,
     Mi pare altrove avervi cognosciuto:
     Se bene amento, in corte de Agramante. -
     Rispose il cavalliero: - Io ve ho veduto
     Di certo quando io venni di Levante.
     Io ve vidi a Biserta, questo è il vero;
     Son Brandimarte, e voi seti Rugiero. -

52 Incontinente insieme se abbracciarno,
     Come se ricognobbero e baroni,
     E parlando tra lor deliberarno
     De ispartir quella zuffa de bastoni.
     Ebbero un pezzo tal fatica indarno,
     Ché sì turbati sono e campïoni,
     Che per ragione o preghi non se voltano:
     L’un l’altro tocca, e ponto non ascoltano.

53 Pur Brandimarte, a cenni supplicando,
     Fece che sue parole furno odite,
     Dicendo a lor: - Se desïati il brando
     Per il quale è tra voi cotanta lite,
     Condur vi posso ov’è al presente Orlando:
     Là fìen vostre contese diffinite.
     Or sì ve ha tolto l’ira il fren di mano,
     Che per nïente combattete in vano.

54 Ma se traeti il campïon sereno
     Di certa incantason dolente e trista,
     Lui di battaglia a voi non verrà meno;
     Sia Durindana poi di chi l’acquista.
     Se il mondo è ben di meraviglia pieno,
     Una più strana mai non ne fu vista
     Di questa ove ora vado, per provare
     Se indi potessi Orlando liberare. -

55 Gradasso e Mandricardo, odendo questo,
     Lasciâr la pugna più che volentiera,
     Pregando Brandimarte che pur presto
     Gli volesse condurre ove il conte era.
     Esso rispose: - Ora io vi manifesto
     Che vicino a due leghe è una riviera,
     Qual nome ha Riso, e veramente è un pianto;
     Dentro vi è chiuso Orlando per incanto.

56 Uno indovino, a cui molto è creduto,
     In Africa m’ha questo apalesato;
     E perciò in questo loco ero venuto
     A liberarlo, come disperato.
     Bastante non ero io; ma il vostro aiuto,
     Come io comprendo, il cel me ha destinato,
     E so che ogniom di voi passaria il mare
     Per tuore impresa tanto singulare. -

57 Ciascun de’ duo baroni ha più desio
     Di ritrovarsi presto alla fiumana.
     Dicea Rugiero: - E dove rimango io,
     Se ben non cheggio Orlando o Durindana? -
     Più non dico ora. Il grave incanto e rio
     Farò palese e la aventura istrana,
     E come tratto for ne fosse Orlando;
     Cari segnori, a voi me racomando.