Osservazioni sulla morale cattolica/Al lettore

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Osservazioni sulla morale cattolica Capitolo I
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OSSERVAZIONI


SULLA MORALE CATTOLICA.





Unum gestit interdum ne ignorata damnetur.
Tertull., Apol. cap. I.     





AL LETTORE.



Questo scritto è destinato a difendere la morale della Chiesa cattolica dall’accuse che le sono fatte nel Cap. CXXVII della Storia delle Repubbliche Italiane del medio evo.

In un luogo di quel capitolo s’intende di provare che questa morale è una cagione di corruttela per l’Italia. Io sono convinto che essa è la sola morale santa e ragionata in ogni sua parte; che ogni corruttela viene anzi dal trasgredirla, dal non conoscerla, o dall’interpretarla alla rovescia; che è impossibile trovare contro di essa un argomento valido: e ho qui esposte le ragioni per le quali ho creduto di poter dimostrare che non lo è alcuno di quelli addotti dall’illustre autore di quella Storia.

Debole, ma sincero apologista d’una morale il di cui fine è l’amore; persuaso che nella benevolenza del fatuo, c’è qualcosa di più nobile e di più eccellente che nell’acutezza d’un gran pensatore; persuaso che il trovare nell’opinioni d’alcuno disparità dalle nostre deve avvertirci di ravvivare per lui i sentimenti di stima e d’affezione, appunto perchè la corrotta nostra inclinazione potrebbe ingiustamente strascinarci ai contrari; se non avrò osservati in quest’opericciola i più scrupolosi riguardi verso l’autore che prendo a confutare, sarà avvenuto certamente contro la mia intenzione. Spero però che non sarà avvenuto; e rifiuto anticipatamente ogni interpretazione meno gentile d’ogni mia parola.

Con tutto ciò, sento che a ogni lavoro di questa sorta s’attacca un non so che d’odioso, che è troppo difficile di levarne affatto. Prendere in mano il libro d’uno scrittore vivente e, a giusta ragione, stimato; ripetere alcune sue proposizioni, esaminarle punto per punto, trovare in tutto che dire, fargli per dir così, il dottore a ogni passo, è una cosa che, a lungo andare, è quasi impossibile che non lasci una certa impressione di presunzione, e di basso e insistente litigio. Per prevenire questa impressione, non dirò al lettore: vedete se non ho ragione ogni volta che prendo qui a contradire: so e sento che l’aver ragione non basta sempre a giustificare una critica, e sopratutto a nobilitarla. Ma dirò: considerate la natura dell’argomento. Non è questa una discussione speculativa; è una [p. 426 modifica]deliberazione: deve condurre, non a ricevere piuttosto alcune nozioni che alcune altre, ma a scegliere un partito; poichè, se la morale che la Chiesa insegna, portasse alla corruttela, converrebbe rigettarla. Questa è la conseguenza che gl’Italiani dovrebbero cavare da quel complesso di ragionamenti. Io credo che un tale effetto sarebbe per i miei connazionali la più grande sventura: quando si sente d’avere sopra una questione di questa sorte un parere ragionato, l’esporlo può essere un dovere: non ci sono doveri ignobili.

Il lettore troverà qualche volta che la confutazione abbraccia più cose che l’articolo confutato: in questo caso, lo prego d’osservare che non intendo d’attribuire all’illustre autore più di quello che abbia espressamente detto; ma ho creduto che l’unica maniera d’arrivare a un resultato utile, fosse di trattare la questione più in generale; e in vece di difendere in un articolo di morale la sola parte controversa, indagare la ragione del tutto, poichè è questo che importa di conoscere, è questo che bisogna interamente ricevere o rifiutare. Ho tenuto tanto più volentieri questo metodo, perchè si veda meglio, che il mio scopo è di stabilire delle verità importanti e che la confutazione è tutta subordinata a questo.

Notare in un’opera di gran mole e di grand’importanza quello che si crede errore, e non far cenno dei pregi che ci si trovano, non sarà forse ingiustizia, ma mi pare almeno scortesia: è rappresentare una cosa che ha molti aspetti, da uno solo, e sfavorevole. Non dovendo citare la Storia delle Repubbliche Italiane se non per contradire a una parte di essa, prendo qui l’occasione d’attestare brevemente la mia stima per tant’altre parti d’un’opera, il più piccolo merito della quale sono le laboriose e esatte ricerche, che formano il principale di tant’altre di simil genere; d’un’opera originale sopra una materia già tanto trattata; e originale appunto perchè è trattata come dovrebbero essere tutte le storie, e come pochissime lo sono. Accade troppo spesso di leggere, presso i più lodati storici, descrizioni di lunghi periodi di tempi, e successioni di fatti vari e importanti, senza trovarci quasi altro che la mutazione che questi produssero negl’interessi e nella miserabile politica di pochi uomini: le nazioni erano quasi escluse dalla storia. L’intento di rappresentare, per quanto si può, in una storia lo stato dell’intera società di cui porta il nome, intento, si direbbe quasi, novo, è stato in questa applicato a una materia vasta e, pur troppo, complicatissima, ma d’una bella e felice proporzione: i fatti sono in essa vicini di tempo e di natura tanto da poterli con chiarezza e senza stento confrontare con le teorie che gli abbracciano tutti, e queste teorie sono assai estese, senza arrivare a quell’indeterminato, che mette bensì lo storico al coperto delle critiche particolari, perchè rende quasi impossibile il trovare gli errori, ma che lascia il lettore in dubbio se quella che gli è presentata sia un’osservazione vera e importante, o un’ipotesi ingegnosa. Senza ricevere tutte le opinioni dell’illustre autore, e rifiutando espressamente quelle che dissentono dalla fede e dalla morale cattolica, non si può non riconoscere quante parti della politica, della giurisprudenza, dell’economia e della letteratura siano state da lui osservate da un lato spesso novo e interessante, e, ciò che più importa, nobile e generoso; quante verità siano state da lui, per dir così, rimesse in possesso, ch’erano cadute sotto una specie di prescrizione, per l’indolenza o per la bassa connivenza d’altri storici, che discesero troppo spesso a giustificare l’ingiustizia potente, e adularono perfino i sepolcri. Egli ha voluto quasi sempre trasportare la stima pubblica dal bon successo alla giustizia: lo scopo è tanto bello, che è dovere d’ogn’uomo, per quanto poco possa valere il suo suffragio, [p. 427 modifica]di darglielo, per far numero, se non altro, in una causa che n’ha sempre avuto, e n’ha più che mai, gran bisogno.

Chi ha fatti studi seri e lunghi sulle Sacre Scritture, fonti inesauste di morale divina, e ha letti con attenzione i gran moralisti cattolici, e ha meditato, con riflessione spassionata, sopra di sè e sopra gli altri, troverà superficiali queste Osservazioni; e sono ben lontano dall’appellarmi dal suo giudizio. Le discussioni parziali possono bensì mettere in chiaro qualche punto staccato di verità; ma l’evidenza e la bellezza e la profondità della morale cattolica non si manifestano se non nell’opere, dove si considera in grande la legge divina e l’uomo per cui è fatta. Ivi l’intelletto passa di verità in verità: l’unità della rivelazione è tale che ogni piccola parte diventa una nova conferma del tutto, per la maravigliosa subordinazione che ci si scopre; le cose difficili si spiegano a vicenda, e da molti paradossi resulta un sistema evidente. Ciò che è, e ciò che dovrebb’essere; la miseria e la concupiscenza, e l’idea sempre viva di perfezione e d’ordine che troviamo ugualmente in noi; il bene e il male; le parole della sapienza divina, e i vani discorsi degli uomini; la gioia vigilante del giusto, i dolori e le consolazioni del pentito, e lo spavento o l’imperturbabilità del malvagio; i trionfi della giustizia, e quelli dell’iniquità; i disegni degli uomini condotti a termine tra mille ostacoli, o fatti andare a voto da un ostacolo impreveduto; la fede che aspetta la promessa, e che sente la vanità di ciò che passa, l’incredulità stessa; tutto si spiega col Vangelo, tutto conferma il Vangelo. La rivelazione d’un passato, di cui l’uomo porta in sè le triste testimonianze, senza averne da sè la tradizione e il segreto, e d’un avvenire, di cui ci restavano solo idee confuse di terrore e di desiderio, è quella che ci rende chiaro il presente che abbiamo sotto gli occhi; i misteri conciliano le contradizioni, e le cose visibili si intendono per la notizia delle cose invisibili. E più s’esamina questa religione, più si vede che è essa che ha rivelato l’uomo all’uomo, che essa suppone nel suo Fondatore la cognizione la più universale, la più intima, la più profetica d’ogni nostro sentimento. Rileggendo l’opera de’ gran moralisti cattolici, e segnatamente i sermoni del Massillon e del Bourdaloue, i Pensieri del Pascal, e i Saggi del Nicole, io sento la piccolezza dell’osservazioni contenute in questo scritto; e sento che vantaggio dava ai due primi l’autorità del sacerdozio, e a tutti il modo generale di trattare la morale, un grand’ingegno, de’ lunghi studi, e una vita sempre cristiana.

S’usa una strana ingiustizia con gli apologisti della religione cattolica. Si sarà prestato un orecchio favorevole a ciò che vien detto contro di essa; e quando questi si presentano per rispondere, si sentono dire che la loro causa non è abbastanza interessante, che il mondo ha altro a pensare, che il tempo delle discussioni teologiche è passato. La nostra causa non è interessante! Ah! noi abbiamo la prova del contrario nell’avidità con cui sono sempre state ricevute l’obiezioni che le sono state fatte. Non è interessante! e in tutte le questioni che toccano ciò che l’uomo ha di più serio e di più intimo, essa si presenta così naturalmente, che è più facile respingerla che dimenticarla. Non è interessante! e non c’è secolo in cui essa non abbia monumenti d’una venerazione profonda, d’un amore prodigioso, e d’un odio ardente e infaticabile. Non è interessante! e il voto che lascerebbe nel mondo il levarnela, è tanto immenso e orribile, che i più di quelli che non la vogliono per loro, dicono che conviene lasciarla al popolo, cioè ai nove decimi del genere umano. La nostra causa non è interessante! e si tratta di decidere se una morale [p. 428 modifica]professata da milioni d’uomini, e proposta a tutti gli uomini, deve essere abbandonata, o conosciuta meglio, e seguita più e più fedelmente.

Si crede da molti che questa noncuranza sia il frutto d’una lunga discussione, e d’una civilizzazione avanzata; che sia per la religione l’ultimo e più terribile nemico, venuto, nella pienezza de’ tempi, a compire la sua sconfitta, e a godere del trionfo preparato da tante battaglie; e in vece questo nemico è il primo ch’essa incontrò nella sua meravigliosa carriera.

Al suo apparire, fu accolta dagli scherni del mondo; si principiò dal crederla indegna d’esame. Gli apostoli, nell’estasi tranquilla dello Spirito, rivelano quelle verità che diverranno la meditazione, la consolazione e la luce de più alti intelletti, gettano i fondamenti d’una civilizzazione che diventerà europea, che diventerà universale; e sono chiamati ubbriachi1. San Paolo fa sentire nell’Areopago le parole di quella sapienza, che ha rese tanto superiori le donnicciole cristiane ai saggi del gentilesimo; e i saggi gli rispondono che lo sentiranno un’altra volta2. Credevano d’avere per allora cose più importanti da meditare, che Dio e l’uomo, il peccato e la redenzione. Se questo antico nemico sussiste tuttora, è perchè non fu promesso alla Chiesa che distruggerebbe tutti i suoi nemici, ma che non sarebbe distrutta da alcuno.

Parlare di dommi, di riti, di sacramenti, per combattere la fede, si chiama filosofia; parlarne per difenderla, si chiama entrare in teologia, voler fare l’ascetico, il predicatore; si pretende che la discussione prenda allora un carattere meschino e pedantesco. Eppure non si può difendere la religione, senza discutere le questioni poste da chi l’accusa, senza mostrare l’importanza e la ragionevolezza di ciò che forma la sua essenza. Volendo parlare di cristianesimo, bisogna pur risolversi a non lasciar da parte i dommi, i riti, i sacramenti. Che dico? perchè ci vergogneremo di confessare quelle cose in cui è riposta la nostra speranza? perchè non renderemo testimonianza, nel tempo d’una gioventù che passa, e d’un vigore che ci abbandona, a ciò che invocheremo nel momento della separazione e del terrore?

Ma ecco che, senza avvedermene, entravo a difender me stesso contro delle censure avvenire, e che forse non verranno. Cadrei in un orgoglio ridicolo, se cercassi di trasportare a quest’opericciola l’interesse che si deve alla causa per cui è intrapresa.

Spero d’averla scritta con rette intenzioni, e la pubblico con la tranquillità di chi è persuaso che l’uomo può aver qualche volta il dovere di parlare per la verità, ma non mai quello di farla trionfare.

Note

  1. Alii autem irridentes dicebant: quia musto pleni sunt isti. Act. Apost. II,13.
  2. Quidam quidem irridebant, quidam vero dixerant: audiemus te de hoc iterum. Act. Apost. XVII, 32.