Osservazioni sulla tortura/XII

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Uso delle antiche nazioni sulla tortura

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XI XIII



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§. XII.

Uso delle antiche nazioni sulla Tortura.

L’invenzione della tortura, se crediamo a Remus1 e a Gian Lodovico Vives2, dovrebbe attribuirsi all’ultimo re di Roma, Tarquinio il Superbo, a Masenzio ed a Falaride: convien lodare il criminalista Remus, poichè almeno giudiziosamente ha trascelti tre notissimi tiranni per far cadere sopra tre tiranni l’obbrobrio di così inumana invenzione3. Sappiamo però che al tempo de’ tiranni Falaride, Nearco e Gerolamo, furono posti alla tortura i più rispettabili filosofi de’ loro tempi, Zenone Eleate e Teodoro; e il filosofo Anassarco fu crudelmente torturato per ordine del tiranno Nicocreonte4.

L’origine di una così feroce invenzione oltrepassa i confini della erudizione, e verisimilmente potrà essere tanto antica la tortura quanto è antico il sentimento nell’uomo di signoreggiare dispoticamente un altro uomo, quanto è antico il caso che la potenza non sia sempre accompagnata dai lumi e dalla virtù, e quanto è antico l’istinto nell’uomo, armato di forza prepotente, di stendere le sue azioni a misura piuttosto della facoltà che della ragione. Io prescindo dal risguardare la legislazione dei libri sacri, come la legge dettata dall’Autore stesso della natura a una nazione di cuor duro; e considerando unicamente quel monumento come il più antico testimonio che sia a nostra notizia de’ costumi de’ secoli remoti, osservo che [p. 48 modifica]nel sacro Testo nessuna menzione vi si fa della tortura; che anzi nel prescrivere le pratiche da usarsi co’ rei si vuole la strada della convinzione coi testimonj, nè si esige la confessione del reo. Veggasi il Deuteronomio al Cap. XIX num. 105: Non si sparga il sangue innocente su quella terra che Dio ti darà da abitare, acciocchè tu non sia reo di sangue. Ed al num. 16 viene ordinato il modo onde provare i delitti, cioè co’ testimonj, e si prescrive che un solo testimonio non valga, qualunque sia il delitto di cui si tratti, ma che due o tre testimonj facciano la prova completa6. E un calunniatore dovrà comparire coll’accusato in faccia a Dio e de’ sacerdoti e giudici, i quali diligentissimamente scandaglieranno entrambi, e, trovata la calunnia, la puniranno della stessa pena che era dovuta al delitto falsamente imputato7. Tale fu la legislazione criminale del popolo Ebreo, dove il delitto si provò co’ testimonj, e la contraddizione fra l’accusatore e il reo con una diligentissima ricerca dei giudici, non mai cogli spasimi della tortura. Che mai potranno dire i fautori della tortura, che la credono necessaria al buon governo del popolo? Il sommo Legislatore avrebbe egli tralasciato un oggetto di buon governo per il suo popolo eletto? Saranno gli uomini sotto la legge di grazia da trattarsi più duramente che sotto la legge scritta? Sono forse i popoli di questi secoli più induriti e bisognosi di giogo di quello che lo erano gli Ebrei? Troviamo noi Cristiani nel Vangelo qualche seme onde incrudelire co’ nostri fratelli? Il solo giudizio che Cristo pronunciò durante il corso della sua vita fu per assolvere la donna che si voleva lapidare; e i Cristiani, che sono imitatori, o debbon esserlo, della vita paziente, benefica, umana, compassionevole del Redentore, scrivono i trattati per tormentare colle più atroci e raffinate invenzioni i loro fratelli? La contraddizione è troppo evidente. Ritorniamo all’antichità.

Presso de’ Greci, egualmente che presso dei Romani, fu sconosciuto [p. 49 modifica]l’uso della tortura per gli uomini. Non parlo degli schiavi, i quali nel loro sistema non si consideravano come persone, ma superficialmente come cose; in guisa che si vendevano, si uccidevano, si mutilavano colla padronanza e libertà medesima colla quale si fa di un giumento, senza che le leggi limitassero la padronanza sopra di essi. La tortura si dava ai servi, o sia schiavi, ma non ai cittadini e agli uomini. Se fosse male o ben fatto il degradare una porzione dell’umanità al segno de’ giumenti, io non ardirei di deciderlo. Quelle due nazioni sono state le nostre maestre; la loro grandezza tutt’ora ci fa maraviglia; noi non siamo giunti a pareggiare la loro coltura; e da un canto solo d’inconveniente mal si giudicherebbe del tutto insieme e della connessione necessaria che un disordine parziale talvolta tiene colla perfezione generale del sistema. So che quando in uno stato si voglia tenere una classe d’uomini annientata sotto l’arbitrario potere della nazione, ogni cosa che avvilisca e degradi quella classe sarà conforme al fine politico. Mi trovo al punto medesimo, sul quale fu l’immortale Presidente di Montesquieu, e non saprei dir meglio che servendomi delle di lui parole: Tant d’habiles gens, et tant de beaux génies ont écrit contre l’usage de la torture, que je n’ose parler après eux. J’allais dire qu’elle pourrait convenir dans le gouvernements despotiques, où tout ce qui inspire la crainte entre dans les ressorts du gouvernement; j’allais dire que les esclaves chez les Grecs et chez les Romains... mais j’entend la voix de la nature qui crie contre moi. Così egli8. Che i Greci non usassero tormenti contro i cittadini si scorge in Lisia, Orat. in Argorat., e Curio Fortunato Retore, Schol., lib. 2, e per i cittadini Romani dalla stessa legge 3 e 4 ad L. Jul. majestatis. Dopo che la libertà di Roma fu soggiogata, e piantata la tirannia, veggonsi esentate dalla tortura le persone di nascita, dignità o servigi militari. Durante però la repubblica, unicamente i servi erano sottoposti a questo strazio, non mai gli uomini, figli della patria e aventi una personale esistenza; quindi la L. 27 alla L. Jul. De adult., § 5, dice che liber homo tortus, non ut liber, sed ut servus existimatur.. Veggasi Sallustio in Catilin.9, che pure attesta che le leggi romane proibivano il dare la tortura agli uomini liberi. Quindi Cicerone, nella sua orazione Pro Silla, esclama contro l’insolita tirannia minacciata: Quaestiones nobis servorum, et tormenta minitantur.

  1. Constit. crimin., art. 58
  2. In comment. ad August. De civit. Dei, Lib. XIX, Cap. 6.
  3. Vid. Zigler, Them. 47, De Tortur., § 1.
  4. Vid. Valer. Max., Lib. III, Cap. 3, e Diog. Laert., Cicer. Tuscul., Tertull. Apologet., ed altri.
  5. Non effundatur sanguis innoxius in medio terrae, quam Dominus Deus tuus dabit tibi possidendam, ne sis sanguinis reus.
  6. Non stabit testis unus contra aliquem, quidquid peccati et facinoris fuerit; sed in ore duorumm, vel trium testium stabit omne verbum.
  7. Si steterit testis mendax contra hominem, accusans eum praevaricationis, stabunt ambo, quorum causa est, ante Dominum in conspectu sacerdotum et judicum, qui fuerint in diebus illis; cumque diligentissime perscrutantes invenerint falsum testem dixisse contra fratrem suum mendacium, reddent ei sicut fratri suo facere cogitavit, et auferes malum de medio tui, ut audientes coeteri timorem habeant, et nequaquam talia audeant facere. Non misereberis ejus, sed animam pro anima, oculum pro oculo, dentem pro dente, manum pro manu, pedem pro pede exiges.
  8. Vedi la traduzione italiana dell’opera di questo autore, Lo Spirito delle Leggi, a pag. 202 del vol. XXI della nostra Biblioteca Scelta di Opere Francesi.
  9. Nel vol. VII della Biblioteca Scelta di Opere greche e latine ho compresa la traduzione di Sallustio di Fra Bartolomeo da S. Concordio; e nel vol. XXII la traduzione di Vittorio Alfieri

    Il Tipografo