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Otello/Nota

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Wilhelm August von Schlegel

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Atto quinto Amleto

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NOTA


«.... Se il dramma di Giulietta e Romeo sembra rischiarato dai raggi dell’aurora, ma di un’aurora le cui nubi infiammate annunziano un giorno tempestoso, l’Otello è coperto di fosche ombre; è un quadro alla Rembrandt. Ma qual felice errore è mal quello che fece prendere a Shakspeare il Moro dell’Africa settentrionale, il Saracino battezzato, di cui si parla nella Novella originale, per un vero Etiope? Si conosce in Otello la natura selvaggia di quell’ardente zona, che produce gli animali più feroci e le piante più venefiche. Il desiderio della gloria, le leggi straniere dell’onore, costumi più dolci e più nobili, non l’hanno mansuefatto che in apparenza. La gelosia non è in lui quella delicata irritabilità del cuore, che si unisce ad un santo rispetto per l’oggetto amato; è la sensuale frenesia che introdusse nei climi cocenti l’indegna costumanza di racchiudere le donne, e tanti altri abusi contro natura. Una stilla di questo veleno, versata nel suo sangue, vi eccita la più spaventevole effervescenza. Otello si mostra nobile, sincero, fiducioso, riconoscente all’amore che inspira; è un eroe che sprezza il pericolo, il degno duce de’ suoi militi, il fermo sostegno dello Stato: ma il potere, puramente fisico, delle sue passioni abbatte con un colpo le sue virtù adottive; e il selvaggio trionfa in esso dell’uomo civile. Quella medesima tirannia del sangue sopra la volontà si manifesta nella espressione del suo sfrenato desiderio di vendicarsi di Cassio; ed allorchè, riavuto dal suo accanimento, i rimorsi, la tenerezza, il sentimento dell’onore offeso si destano a un tratto nel suo seno, egli si volge contro di sè con tutto il furore d’un despota che punisce il suo schiavo ribelle: soffre doppiamente; soffre nelle due sfere in cui si divide la sua esistenza.

Se l’inclito Moro porta soltanto sopra il suo volto le fosche tinte del sospetto e della malvagità, Jago è nero fin nel fondo dell’anima. Egli si mette ai fianchi d’Otello qual genio malefico, le cui perfide insinuazioni non gli lasciano alcun riposo: e si direbbe che relazioni naturali rendano la sua influenza più possente che quella del buon angelo d’Otello, Desdemona. Non mai fu posto sulla scena uno scellerato più astuto di Jago, che tende le sue insidie con tal’arte, che diventano inevitabili. Non si comporterebbe l’indegnazione che inspira il suo fine, se l’attenzione non si rivolgesse tutta intera verso i suoi mezzi che dànno alla mente un’occupazione continua. Maestro dell’arte della dissimulazione, colui non pare freddo, malcontento, feroce, se non quando ardisce permettersi d’apparir tale; ma è poi umile e strisciante tosto che stima necessario d’usar questa maschera: inaccessibile alle commozioni disinteressate, sa suscitare a suo grado le passioni degli altri, e farne suo profitto. È eziandio eccellente osservatore degli uomini, quant’esser può chi non ha imparato [p. 370 modifica]dall’intimo sentimento a conoscere i più nobili stimoli delle loro opere. La sua pertinace incredulità sulla virtù delle donne non è simulata; è conseguenza naturale del suo modo di pensare, e che lo rende tanto più atto a compiere il suo disegno. Siccome vede ogni cosa dal lato tristo, così distrugge aspramente l’incanto dell’immaginazione in tutto quello che appartiene all’amore; vuole esacerbare e disgustare i sensi d’Otello, affinchè il suo cuore non gli mostri l’innocenza di Desdemona; e ciò spiega perchè adoperi espressioni che fanno inorridire il pudore. Se Shakspeare avesse scritto ai dì nostri, sicuramente avrebbe mitigate alcune parole; ma la verità dei colori avrebbe alquanto perduto.

Desdemona è una vittima senza macchia. Forse non si vede in essa l’ideale della grazia e dell’inspirazione passionata, come in Giulietta; ma è dolce, umile, semplice, e così innocente, che non può nemmeno concepire l’idea dell’infedeltà; e sembra creata a posta per essere una moglie tenera e affettuosa. Il bisogno di consacrare ad altri la propria vita, questo istinto naturale delle donne, ha cagionato l’unico suo fallo: il suo matrimonio senza saputa del genitore. La scelta che ha fatto, sembra un errore della sua immaginazione; e pure ciò che le ha tocco il cuore per Otello, è quello precisamente che spinge una donna ad onorar nel suo sposo il suo protettore e il suo signore: l’ammirazione pel coraggio, la pietà pei corsi pericoli. Grand’arte si vede nell’aver rappresentato Desdemona, che non s’accorge della sua imprudenza ad accendere sempre più la gelosia del Moro colle sue vive preghiere in favore di Cassio. Per fare maggiormente risaltare la purezza di questo essere angelico, Shakspeare le ha dato in Emilia una compagna di costumi dubbi. Non v’è che la colpevole leggerezza di costei che possa far comprendere come mai Desdemona non confessi il furto del fazzoletto allorchè Otello glie lo dimanda con impeto; poichè altrimenti una simile circostanza sarebbe la più difficile di tutte da giustificare. Il giovine Cassio, amabile, sciolto, generoso, ma facile ad essere sedotto, è pure disegnato come si conveniva, affinchè potesse eccitare ingiusti sospetti. I pubblici avvenimenti dei due primi Atti ci mostrano Otello sotto il suo più glorioso aspetto, cioè come l’appoggio di Venezia e lo spavento dei Turchi: e così quegli avvenimenti, come le dissensioni de’ Capuleti e de’ Montecchi nella Giulietta e Romeo, servono a far uscire la favola dal cerchio delle relazioni domestiche. Quale eloquenza potrebbe dipingere la forza spaventosa della catastrofe di questa tragedia? quali espressioni potrebbero dar idea del tumultuoso conflitto tra affetti di una tal violenza, che, compressi nel cuor dell’uomo, s’aprono una via nell’eternità?».

(Schlegel, Corso di letteratura drammatica).