Pagina:Boccaccio, Giovanni – Opere latine minori, 1924 – BEIC 1767789.djvu/342

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336 nota


Un altro apografo, dove il testo dell’ep. giá si era corrotto, serví ad un ignoto dei primi anni del secolo XV per ricavarne un volgarizzamento che per lungo tempo fu creduto l’originale. A dir vero, il sospetto che si trattasse di una traduzione dal latino si era giá affacciato a parecchie riprese sin dal Settecento1, poco dopo la sua prima pubblicazione ch’ebbe luogo per cura del Biscioni nel 17232. Ma un secolo dopo cominciò un altro genere di dubbi, quelli sull’autenticitá dello scritto, contro la quale si schierarono il Ciampi, il Todeschini, il Landao, l’Hortis ed altri, mentre la sostennero il Gamba, il Körting, il Corazzini, il Gaspary, il Macrí-Leone ed il Traversari3. Il ricupero del frammento Patetta ha dato il colpo di grazia anche agli ultimi superstiti sospetti che per caso si fossero potuti conservare in proposito.

Il volgarizzamento ci è stato tramandato da una raccolta di epistole, dicerie ed altre minori composizioni volgari, messa insieme non si sa da chi, nel quinto decennio del secolo XV; è possibile che l’autore della versione sia stato lo stesso compilatore della collana. Di questa si conosce una decina di esemplari4, tra i quali non è compreso l’archetipo; d’altra parte, l’importanza dei risultati eventualmente raggiungibili non è tale da giustificare la fatica che richiederebbe uno studio inteso alla classifica-



    lanea di studi stor. in onore di G. Sforza, Lucca, 1920 (Torino, 1923), pp. 727-30. Il testo è abbastanza scorretto, segno che l’ep. «doveva giá esser stata copiata e ricopiata piú volte». Quel nisi 1475, con cui principia l’avanzo, è supplemento dell’editore, e lo stesso dicasi di non ivi7; urentis e tactu ivi14 sono emendamenti del medesimo Patetta (ms. utentis e tractu). La lacuna tra poierat e puerile non è indicata dalla stampa. Per la grafia, noto la forma acerime ivi7.

  1. Nel dire «evidentemente tradotta dal latino» l’ep., il Corazzini rinviò (p. 131, n.) a certe annotazioni di A. M. Salvini scritte sui margini del Ricc. 1080, per mettere locuzioni e parole latine a riscontro con le corrispondenti del testo volgare; indizio che il postillatore effettivamente aveva riconosciuto la vera natura di quest’ultimo (p. es., «L[atino] aedepol» con riferimento alle parole «per la casa di Polluce 16923, «manente adhuc me isthic» in rapporto alla frase «stando ancora me costá» 17134, ecc.): per una constatazione piú esplicita, cfr. p. 341, n. 2. Anche l’Hauvette aveva espresso il medesimo sospetto (Boccace, pp. 371-2).
  2. Cfr. p. 308 e n. 3.
  3. Si veda lo scritto di quest’ultimo Per l’autenticitá dell’Ep. del Bocc. a Franc. Nelli, nel Giorn. stor., XLVI [1905], p. 100 sgg.; nelle pp. 104-8 si legge un ottimo ristretto della storia critica della questione.
  4. Cfr. Traversari, Le lett. autog. cit., p. 2, n. 2. Giá sei ne aveva additati il Narducci, Di un Catal. cit., p. 13.