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Pagina:Callimaco Anacreonte Saffo Teocrito Mosco Bione, Milano, Niccolò Bettoni, 1827.djvu/36

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Che di paura sì dall’alto colle
     Di Mimante accennando Iri le punge,
     Che ciascheduna per fuggir si tolle;
Quindi agli alberghi di Calciope aggiunge, 20
     All’isola di Coo, laonde il figlio
     Con questo ragionar la tenne lunge:
Qui non gradisco al dì schiudere il ciglio,
     Nè già questa isoletta che verdeggia
     Tutta d’erbe e di fiori a vile io piglio;
Statuito dai cieli è che qui deggia
     Nascere un altro Iddio, famosa verga
     Del Macedone stel, che tanta greggia
Correggerà colla possente verga,
     Quanta non vede il mar, quanta il mar serra,
     E quanta Aurora, e quanta Espero alberga;
Tutta a sue man si recherà la terra,
     I paterni costumi avrà con seco,
     E verrà tempo un dì, che ad esso guerra
Rotta sarà comunemente meco,
     E i figli de’ Giganti il Celto Marte, 21
     E le barbare spade al lido Greco
Moveran dall’Esperia ultima parte,
     A nevi a stelle in numero sembianti,
     Quando la notte al ciel più ne comparte.
Quanti di Crissa la campagna, quanti
     La Delfica erta e la vallea Locrese,
     E tutta allor darà la terra pianti,
Quando le messi del vicino incese
     Non udran, ma vedranno, e il mio soggiorno
     Assiso, e l’are mie dall’oste offese.
Spade adunate a’ miei tripodi intorno,
     Svergognati cintigli aste e pavesi.
     Daranno al pazzo stuol tristo ritorno.
Gli scudi, visti i lor bajuli accesi,
     Del Nilo al vincitor parte si denno,
     Parte saranno a’ miei delubri appesi.