Pagina:Catullo e Lesbia.djvu/310

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Ricorda ciò che canta diffusamente nella splendida chiusa dell’Epitalamio, e ch'io volentieri trascrivo:

Questi le Parche un dì dal cor divino
Cantavano a Peleo carmi felici
Vaticinando; già che pria le intatte
Case dei giusti visitar fûr usi
E al mortai ceto appalesarsi i Numi;
Che ancor tenuta a vil pietà non era.
Il padre degli Dei scendea sovente
A visitar sue splendid’are, quando
L’annue sacre venian nei di festivi,
E vedea lieto i cento cocchi ardenti
Negli alati certami; da le vette
Di Parnaso venia spesso l’errante
Libero, in compagnia de le furenti
Tiadi che sciolte al vento hanno le chiome,
E tutti incontro a lui di Delfo a gara
Giubilanti accorreano i cittadini,
Ed accoglieano il Dio ne le fumanti
Are a lui sacre; nel mortai cimento
Marte, o la Dea del rapido Tritone,
la Ramnusia vergine più volte
L’armate schiere ad esortar correa;
Ma poi che fu di scelleranze orrende
La terra infusa e da l’ingorde menti
Cacciar gli umani la Giustizia in bando.
Nel sangue del fratel tinse il fratello
La man; non pianse i genitori estinti
Il figlio più; de la sua prima prole
Pregò il padre l’esequie, onde raccolga
Libero il fiore del secondo imene,
Non vergognò la madre empia a l’ignaro