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156 | Chi l’ha detto? | [515-519] |
515. Non potes successorem tuum occidere.1
Benissimo perciò l’Alighieri:
516. Che giova nelle fata dar di cozzo?
La fortuna ci avvolge e ci mena a suo capriccio, e benchè talora sia vero l’antico dettato:
517. Fabrum esse quemque fortunæ.2
che è attribuito ad Appio Claudio Cieco sulla fede di Sallustio, De republica ordinanda (epist. II ad C. Caesarem, § 1), molte volte il cieco caso soltanto regge i destini dell’uomo. Perciò niuno può prevedere quel che gli serbì la fortuna, poi
518. Che ’nanzi al dì de l’ultima partita
Uom beato chiamar non si convene.
(Petrarca, Sonetto in vita di M. Laura, num. XXXVI secondo il Marsand. com.: Se col cieco desir, che ’l cor distrugge, ed. Mestica, son. XLIII).
che è reminiscenza del biblico:
519. Ante mortem ne laudes hominem quemquam.3
(Ecclesiastico, cap. IX, v. 30).
o dei versi di Ovidio:
....Dicique beatus |
Si ricordi l’ammonizione di Solone a Creso: "Ορα τἐλος μακςοῠ βιου (Schol. Juv. XIV, 328; Diogen. VIII, 51; Apost. XVI, 30;