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i più - cresciuti ed educati in quell’ambiente di fioritura romantica, olezzante da trenta anni nell’italico giardino; fioritura» che aveva cominciato a far palpitare i cuori italiani con la Francesca da Rimini di Silvio Pellico e, attraverso alle Ballate del Berchet, agl’Inni religiosi e ai Promessi Sposi del Manzoni, alle Novelle e ai poemetti del Grossi, e alle prose o alle poesie di altri cinquanta, di altri sessanta, di altri ottanta scrittori, sentimentalmente cristiani e convenzionalmente lacrimosi, aveva raggiunto il massimo grado del suo sviluppo, e del suo rigoglio con le Speranze d’Italia del Balbo, e col Primato del Gioberti, ed aveva preparato la coscienza nazionale al convincimento che fosse possibile un ricorso storico, pel quale un nuovo Alessandro III espellerebbe d’Italia il nuovo Federico Barbarossa1.

Il Durando, adunque, a quella guisa scrivendo, rispecchiava fedelmente i suoi e gli altrui sentimenti, le sue e le altrui fantasie, ma quel linguaggio non poteva non suonare ingrato all’orecchio del Pontefice, in cui il Durando, i suoi soldati e quasi tutti gl’Italiani si ostinavano a voler vedere, ad ogni costo, il preconizzato Alessandro III e il quale, invece si chiamava Giovanni Maria Mastai-Ferretti e non Rolando Bandinelli ed ora asceso al soglio pontificio non già quando il Papato e l’Impero erano in fierissima lotta di preminenza fra loro, ma sei secoli dopo e quando, cioè, non soltanto quella lotta era finita, ma quando, per un seguito di mirabili evoluzioni dell’intelletto umano e della umana coscienza - quali le crociate, le scoperte, l’umanesimo, l’invenzione della stampa e delle armi da fuoco, il risorgimento artistico, la rivoluziona protestante, l’insurrezione dei Fiamminghi, lo sperimentalismo di Galileo e di Bacone, la rivoluzione inglese, la guerra dei Trent’anni, la pubblicazione dell’Enciclopedia, la rivoluzione francese - quando, per questo seguito di mirabili evoluzioni, quell’elemento popolare, comunale italico di cui Ales-

  1. Quel proclama, infatti, l’aveva dettato il romantico Massimo D’Azeglio, il quale lo confessa in una sua lettera al Minghetti, in data del 18 aprile 4a Bologna, in cui amaramente si lagna delle esitazioni del Ministero e del Papa e degli ostacoli frapposti al passaggio del Po e dell’incuria osservata verso l’esercito, che si fa difettare di tutto e si allieta poi, alla conclusione, di essersi rifatto di quelle opposizioni dei preti della Curia contro la guerra santa nel proclatna del 5 aprile (Vedi Minghetti, op. cit., appendice al voli, pag. 420).