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Pagina:De Cesare - Roma e lo Stato del Papa I.djvu/312

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294 capitolo xv.

O madre degna della miglior sorte,
I nostri cor saran la tua corona
Che non potrà spezzar la negra morte.
E quando fia che l’alma n’abbandone
La fragil spoglia, allor lassù con Dio,
Nei giardin dell’empirea Stone,
S’intrecceranno i nostri cuori, e in Dio,
Teco sarem felici, o cara madre,
Stretti al tuo cuore, e stretti al cuor di Dio,
Cantando osanna con le alate squadrel!...

Modena, 5 settembre 1891.

Il vostro affezionatissimo fratello
Pio Edgardo Mortara
che vi ama tanto
con la nostra adorata madre e cara famiglia!...



Il Mortara rivide sua madre, prima a Perpignano, e poi a Parigi nel 1878, dopo venti anni. Il professor Carlo Usigli, amico intimo della famiglia, fu presente all’incontro, e ne ha lasciata un’interessante relazione manoscritta, nella quale accenna alla voce corsa, di avere il padre Edgardo, in quell’occasione, cercato di persuadere la madre, allora già vedova, a convertirsi al cattolicismo, entrando in un convento di suore, ed aggiunge di avernelo sconsigliato.


*


Il pietoso episodio, testè narrato, mi richiama al Ghetto di Roma. Massimo d’Azeglio, nel famoso opuscolo sull’Emancipazione degl'israeliti, così parla di quel sozzo covo della popolazione semita nella capitale della cattolicità:

... che cosa sia il Ghetto di Roma, lo sanno i romani, e coloro che l’hanno veduto. Ma chi non l’ha visitato, sappia, che presso il ponte a Quattro Capi s’estende lungo il Tevere un quartiere, o piuttosto un ammasso informe di case e tuguri mal tenuti, peggio riparati e mezzo cadenti, nei quali si stipa una popolazione di 3900 persone, dove invece ne potrebbe capire una metà malvolentieri. Le strade strette, immonde, la mancanza d’aria, il sudiciume che è conseguenza inevitabile dell’agglomerazione forzata di troppa popolazione quasi tutta miserabile, rende quel soggiorno tristo, puzzolente e malsano. Famiglie di quei disgraziati vivono, e più di una per locale, ammucchiate senza distinzione di sessi, d’età, di condizione, di salute, a ogni piano, nelle soffitte e perfino nelle buche sotterranee, che in più felici abitazioni servono di cantine.