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Pagina:De Cesare - Roma e lo Stato del Papa I.djvu/321

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teatri, giornali e strenne 303

alle undici, per rispetto del venerdi; l’altro, dalla mezzanotte del venerdì alle sei della mattina del sabato, e si chiamava festino a notte lunga; il terzo, dalla mezzanotte della domenica fino alle sei antimeridiane del lunedì; e l’ultimo, la sera del martedì, dalle 8 alle 10 1/2, e veniva ritenuto il più distinto, perchè la borghesia era occupata alle cene, e l’aristocrazia cenava più tardi. Per entrare a questi veglioni era obbligatorio l’abito di società, quando non si era in maschera. Lo spirito e la buona educazione rendevano assai piacevoli quei ritrovi mondani, e se qualche mascherina si abbandonava a non lecite conversazioni, veniva messa alla porta da abili poliziotti. Maschere, qualche volta spiritosissime, intrigavano l’intera sala. Una sera fu incontrato da una di queste il colonnello Nardoni dei gendarmi, incaricato specialmente di carcerare le persone sospette di liberalismo. La maschera gli disse: come va, Nardoni? E voltandosi ai vicini, e alzando la voce, esclamò: signori, questo è un grande artista, non vi è che lui per legare le pietre preziose, e fuggi. Lo spavaldo colonnello restò mortificato.

Un palco di prim’ordine costava in abbonamento poco meno di mille lire, pagabili a 245 lire per rata; ma Orsini, Colonna e Torlonia erano le sole famiglie del patriziato che avessero il palco intero, le altre ne prendevano la metà, o un quarto. Le ricevute del Iacovacci, stampate malamente, erano intestate così: «Teatro di Apollo», con la firma, per esteso, dell’impresario, e un timbro grossolano con le iniziali dello stesso, e che pareva una testa di morto. Il biglietto di platea costava sessanta baiocchi a sedere, e quaranta per stare in piedi. Non c’erano biglietti d’ingresso, anzi si ricorda che quando si lesse nel cartello di appalto del 1859 che il prezzo a sedere era portato a sessanta baiocchi, cioè a tre lire, si protestò e si chiamò ladro il povero Iacovacci.


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La grande festa dell’arte, una delle più memorabili negli annali dei teatri italiani, fu quella che si compì la sera del 17 febbraio 1859 all’ Apollo, quandò andò in iscena Un ballo in maschera del Verdi. La fama del maestro si era affermata in Roma col Trovatore, sei anni prima. Grandissima aspetta-