Pagina:De Sanctis, Francesco – Alessandro Manzoni, 1962 – BEIC 1798377.djvu/220

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Se volete intendere la differenza di questa ispirazione, alta in tutti e due i Cori, non avete che a guardare ai tempi in cui furono concepiti.

Quando Manzoni scrisse il Coro del Carmagnola, già i carbonari erano potenti in Italia tanto che fino i principi cadetti entravano in quelle associazioni e cospiravano: Francesco I, Carlo Alberto, allora principe di Carignano, erano carbonari. L’atmosfera era impregnata di quell’aria di rivoluzione che precede i grandi avvenimenti: infatti un anno dopo scoppiò la rivoluzione a Napoli, a Torino. Manzoni stesso, attirato da quella bufera, in un momento d’ispirazione patriottica fece un canto, che quantunque non eguale alle altre poesie, quantunque un po’ fiacco, pure annunziava la rigenerazione nazionale.

Questo Coro dell’Adelchi fu concepito quando venne il disinganno, quando quello sforzo dell’Italia fu compresso dagli stranieri. Gli Austriaci dominavano a Napoli e a Torino, il principe di Carignano per assicurarsi la corona abbandonò e denunziò i suoi compagni, Francesco I tradì i suoi fratelli di cospirazione e aperse la via agli Austriaci. Rossetti e Berchet si avviavano all’esilio; Pellico, Oroboni e tanti altri si avviavano allo Spielbergo.

Ora comprendete ciò che di funereo e di triste è nella rappresentazione di quel popolo che vede chiudersi sul suo capo il coverchio della tomba:


      Un popolo e l’altro sul collo vi sta.
Dividono i servi, dividon gli armenti;
Si posano insieme sui campi cruenti
Di un vulgo disperso che nome non ha.

Sono sopratutto le impressioni contemporanee quelle che ispirano il poeta.

Questo Coro produsse una grande impressione in Italia; quando tutto sembrava perduto, parve il primo rintocco del risveglio. Ci trovate altamente proclamata l’autonomia del popolo latino, che è oppresso ma si sente distinto dai suoi oppres-