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XV

1821-22


IL «BRUTO» E LA «SAFFO»

Le canzoni alla Paolina e al vincitore nel gioco del pallone non furono che un fuoco fatuo, furono le ultime voci del patriottismo. L’idea che, cessata ogni speranza di prossima redenzione, l’Italia potesse risorgere con la lenta educazione del carattere nazionale, come suggeriva Giordani e come credeva Manzoni e la parte più temperata della nazione, dimorò pochissimo nel suo cervello. Le sue esortazioni alle donne, perché ritornassero spartane o romane, e ai giovani, perché ritemprassero gli animi con gli esercizii corporali, sono accompagnate con tale scetticismo, che già quella idea è distrutta nel tempo stesso che è annunziata. Quando l’Italia è creduta morta, e la vita non è creduta buona ad altro che ad essere disprezzata, e l’azione è un gioco buono solo a fuggir la noia e ad assaporare meglio la vita nei rischi, in verità ogni fine patriottico e umano è svanito. Non rimane che il moversi per il gusto di moversi, e arrischiare la vita per sentire la vita: poesia dello «spleen», indicata nell’ultima strofa della seconda canzone. Mancato alla vita ogni alto scopo, non le resta che il sensualismo e l’emozione, i bassi fondi nei quali si voltola oggi la poesia.

Musa è l’emozione, la quale mal dissimula il vuoto. Ma l’anima gentile e pura non consente al poeta che pigli questa via, e la salute cagionevole e la solitudine lo rendono sempre