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178 | la giovinezza |
foggiato dal poeta in quell’atmosfera, della quale viveva egli medesimo; perciò non possibile ad imitarsi in altri tempi e da altri poeti. Raffrontai quella forza barbara, indisciplinata e appassionata, co’ sensi umani e anche delicati di Ettore, e commossi la scuola, leggendo il famoso addio di Ettore, dove si rivelano il marito, il padre e il patriota.
Di Virgilio lessi il sogno del terzo libro e il fatto d’Eurialo e Niso, tirandone argomento a varie osservazioni di stile, giudicando io Virgilio come il più grande stilista dell’antichità. Feci l’architettura della Divina Commedia, mostrando quanta serietà di disegno era in quel viaggio, base sulla quale si ergeva l’edificio della storia del mondo, e più particolarmente italiana e fiorentina. Notai nel l’Inferno una legge di decadenza sino alla fine, e nel cammino del poema una legge di progresso sino alla dissoluzione delle forme e alla conoscenza della immaginazione, superstite il sentimento. Mi preparai la via, combattendo i metodi de’ più celebri comentatori, che andavano a caccia di frasi, di allegorie e di fini personali. Notai che la grandezza di quella poesia è in ciò che si vede, non in ciò che sta occulto. Lessi la Francesca, il Farinata, l’Ugolino, il Pier delle Vigne, il Sordello, l’apostrofe di San Pietro e altri brani interessanti, facendovi sopra osservazioni che non dimenticai più, e furono la base sulla quale lavorai parecchi miei Saggi critici. Posso dire che la mia Francesca da Rimini mi usci tutto di un getto in due giorni, e fu l’eco geniale di queste reminiscenze scolastiche. È inutile aggiungere che queste lezioni novissime sulla Divina Commedia destarono vivo entusiasmo. I sunti, fatti da’ miei discepoli e rimastimi, ne rendono una immagine pallidissima e, come dice Dante, fioca al concetto.
Originali furono pure le mie lezioni sull’Orlando furioso. Analizzando le qualità di quel contenuto cavalleresco, ne dedussi che quello che la turba chiamava disordine era ordine, e quello che la turba chiamava irregolarità era regola. Tirai da quel contenuto la situazione e la forma di quella vasta varietà; e, posta quella situazione, trovavo regolare quella pluralità di azioni, che a’ più sembrava un peccato mortale. Confutai