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massimo d’azelio 23i

perduti: scosso appena il giogo del maestro, acquistato il dritto di non studiare, logori dai piaceri e dall’ozio, stranieri alla storia del loro paese, oggi non sono neppur capaci di comprender 1 ’ Italia e maledicono quello che non comprendono. In questa folla ignota sarebbe rimasto confuso Massimo d’Azeglio, se non gli fosse stato accanto un uomo di core e di buon senso, il professore Bidone, non suo maestro, ma suo amico, che parte motteggiando, parte ammonendo, dell’ignobile vita gli fe’ vergogna. Tornò allora a Massimo in mente il capriccio di andare a Roma e farsi artista; il capriccio del fanciullo divenne la volontá di un uomo. Invano i suoi compagni di piacere lo chiamarono un matto; egli senti che allora appunto cominciava a divenire un uomo savio. Il padre volle far prova della sua fermezza, e gli tolse ogni sussidio, lasciatogli appena il bisognevole; Massimo si ostinò, parti per Roma, come un antico pellegrino, e vinse; vinse in questa lunga lotta contro la sua educazione e i pregiudizii della classe. Partiva ufficiale di cavalleria; tornava artista, scrittore e cittadino.

Sentiamo lui stesso, come si dipinge a quel tempo. Avevo, egli dice, da’ venti a’ venticinque anni, buona fibra, pochi pensieri e meno quattrini. Nessuno sapeva che fossi al mondo, ed io volevo farlo sapere. Diventerò pittore, dissi, e farò parlare di me.

Dal maggio all’ottobre ne’ paesi circostanti della campagna romana si vedea passare un giovane, dalla fronte spaziosa, dallo sguardo velato, dalla fisonomia dolce e benevola, a cui faceva strano contrasto la veste di contadino, con quella camiciuola di velluto bleu in sulla spalla, con quello schioppo ad armacollo, con quel coltello nella tasca dritta dei calzoni. Quel giovine era Massimo d’Azeglio, e visse cosí dieci anni, correndo tutt’i paesi intorno a studiar la natura, ad imparar l’arte e ritirandosi la sera in casa di un contadino, dove pagava dozzina e vivea con la famiglia. Certo quella vita dovea parergli dura, lui, nato gentiluomo ed agiato; pure era cosí contento, e lavorava con tanto buono umore; sentiva di esser libero, di esser divenuto un uomo, e diceva fra sé: un giorno saprá il mondo che io ci sono.