Pagina:De Sanctis, Francesco – Lezioni sulla Divina Commedia, 1955 – BEIC 1801853.djvu/47

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vittoria del genio sulla critica 4i


e rettoriche e musicali quella bellezza, spontaneo frutto d’ispirazione, ch’egli sentiva con tanta squisitezza e potenza e che è non solo il di fuori, ma il di dentro, non solo apparenza, ma sostanza, non solo immagine, ma veritá, non solo lettera, ma spirito. Bella è la sua canzone per la naturale e profonda pittura de’ contrari pensieri che battagliano nel suo cuore, e non punto per le veritá e per le moralitá che sono rimaste nella sua intenzione; anzi il senso allegorico turba a quando a quando la chiarezza del senso letterale, e raffredda l’affetto e scolorisce l’immagine: onde il difetto di questa poesia è in quella parte appunto che il poeta indirizza ai savii, ed il pregio è in quella che egli disdegnosamente lascia al volgo. Questo falso concetto che Dante ebbe della poesia insieme coi piú grandi ingegni del suo tempo, come ne fa fede il comento del Boccaccio, e che, tramandatosi quasi per tradizione non piú esaminata ne’ secoli posteriori fino al Tasso e al Gravina, è oggi novamente ricomparso sotto piú scientifico aspetto, basta a spiegarci i principali difetti che si possono notare nella Divina Commedia. Il pensiero talora nella sua cruditá scolastica e pedantesca, tal altra nella sua severitá razionale, piú spesso abbellito d’immagini e di paragoni, che pure non bastano a vincere la sua natura astratta, vi ha troppo gran parte. Inoltre le figure simboliche da lui immaginate ricordano alcuna volta piú i mostri orientali che la schietta bellezza greca, personificazioni astratte, anziché persone conscie e libere; e valga ad esempio il Grifone del purgatorio e l’Aquila del paradiso. E quantunque il senso letterale, secondo la sua stessa teoria poetica, debba essere indipendente dall’allegorico, di modo che sia intelligibile per se stesso, nondimeno, preoccupato com’egli è del secondo senso che ha in mente, non di rado gli escono dalla penna particolari che punto non hanno attinenza con la lettera, e si riferiscono al concetto inespresso rimasto al di fuori di quella, com’è del famoso Veltro che dee cacciare la Lupa: il che turba il lettore, lo trae violentemente dalla serena contemplazione poetica, e lo gitta sospeso e raffreddato in investigazioni storiche e filosofiche, che è a dire in regioni estrinseche alla poesia. Questa presenza perenne di un