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schopenhauer e leopardi | 143 |
bare esiti, e gli si affacci l’inferno, i comandamenti di Dio, il disonore, la carcere, ecc.; cosa fará? Se non ruba, non è virtú, ma effetto necessario del suo carattere; ha un carattere tale che quelle immagini gli facciano effetto. E se ruba, non è peccato, perché, posto il suo carattere, potea cosí poco tenersi dal furto, come la pietra dal cadere. Uomo libero è «contradictio in adiecto»; perché uomo è un essere condizionato e determinato; in modo che basta conoscer bene il carattere di uno per indovinare quello ch’egli fará. Capisci ora perché l’uomo è impeccabile?
A. E la morale? E il dovere?
D. Il dovere, dice Schopenhauer, è un’altra astrazione; nessuno ha il dritto di dire: — Tu devi — ; ed uno dei difetti di Kant è l’esser venuto fuori col suo categorico imperativo. Dovere e non dovere suppone una liberta di scelta che contraddice al concetto dell’uomo. Dimmi pure: — Non devi ammazzare — ; io ammazzerò, se il mio carattere porta cosí, e non farò peccato.
A E se t’impiccano?
D. M’impiccano giustamente.
A. Come? Comincio a dubitare che il tuo cervello se ne vada passeggiando. E perché m’hanno da impiccare? Dove non ci è colpa, non ci è pena. Di che dovrò rispondere io?
D. Non della tua azione, ma del tuo carattere. Perché sei fatto cosí?
A. Oh bella! e che c’entro io? È il «Wille», quel birbone del «Wille» che m’ha fatto cosí.
D. E se t’impiccano, non è te che impiccano, ma il «Wille».
A. Anche questa! il dolore lo sento io.
D. Vale a dire lo sente il «Wille»; perché quello che ci é in te di vero reale è il «Wille»; tutto l’altro è fenomeno.
A. Ma il «Wille» che è in me è lo stesso «Wille» che è in colui che m’impicca.
D. Sicuro.
A. Allora il «Wille» che impicca è lo stesso che il «Wille» ch’è impiccato.