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L’«ARMANDO»


— Cosa hai voluto fare, Giovanni Prati, col tuo Armando? — La curiositá è desta, e molte sono le scommesse. Chi dice: — Non ci raccapezzo nulla — ; e gitta via il libro per disperato. Chi, sorridendo di compassione, risponde: — Non vedi! è una seconda edizione del Faust o del Manfredi. — Bah!, prorompe un terzo: è « un pensier del suo capo»; è tutta farina del signor Prati. —

— Questo libro è un enigma, una sciarada, sentenzia un critico. Ciò che non si capisce non è una creazione, è un aborto, simile a quel tale «disonor del Golgota» di Alessandro Manzoni. —

E il critico condanna il libro «a priori».

— Cosa dunque hai voluto fare, Giovanni Prati, col tuo Armando? — , gridano non i critici per mestiere, ma gli ammiratori, gli amici, i devoti, tutt’ i lettori di buona fede, tutti quelli che vorrebbero pure applaudire, se entrasse lor bene in capo cosa sia questo Armando.

Ma il Prati ve l’ha detto, signori. Ve l’ha spiegato nella prefazione con una chiarezza che fa torto alla vostra intelligenza. E, poetando, quante volte si dimentica di Armando, e pensa a voi, cortesi lettori, e vi spiega e vi toma a spiegare cosa egli ha voluto fare!

Il poeta potrebbe rispondervi : — Ho «notato una malattia morale, e scrissi un libro» — .