Pagina:De Sanctis, Francesco – Saggi critici, Vol. III, 1974 – BEIC 1804859.djvu/114

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epicureo: non divenne Foscolo. E vien fuori con tutto l’apparato dell’erudizione, in una forma finita dell’ultima perfezione: ci si vede l’artista consumato; appena ci è piú il poeta.

Le Grazie segnano giá il passaggio alla critica. Non ci è piú l’ideale: ci è una metafisica dell’ideale. Foscolo aveva familiari i critici francesi; aveva studiato Winckelmann, Vico, Bianchini; era eruditissimo, ed era acuto nella sua erudizione. Nominato professore a Pavia, si mostra cosí nuovo nelle sue opinioni letterarie, come nelle sue poesie. Nella sua Prolusione tenta una storia della parola sulle orme di Vico, censurata da parecchi in questo o quel particolare, ma da’ piú ammirata, come nuova e profonda speculazione. Il suo valore, anzi che nelle sue idee, è nel suo spirito, perché non è infine che una calda requisitoria contro quella letteratura arcadica e accademica, combattuta da tutte le parti e resistente ancora, contro quella prosa vuota e parolaja, e contro quella poesia che suona e che non crea. E non solo egli cerca nella letteratura cose e non parole, in ciò preceduto dal suo maestro Cesarotti, ma vi cerca la serietá di un mondo morale, la sua concordia con la vita. Qui toccava il male nella sua radice. Mancava alla letteratura italiana la coscienza, e perciò mancava a’ letterati la dignitá, e continuavano l’oscena tradizione de’ loro ignobili antecessori, poeti, istoriografi e giornalisti di corte. Questo mercato dell’ingegno, che fa simile lo scrittore a pubblica meretrice, anzi a peggio che meretrice, la quale, se vende il corpo, serba libera l’anima, accendea la bile in Foscolo, e lo tenea in guerra con tutto quel volgo dotto in livrea. Or questa maniera accademica di considerare i piú precisi doveri della vita, questa vigliacca distinzione tra la teoria e la pratica, questo mondo della coscienza predicato in prosa e in verso con tanta enfasi e con fama pompa, e negato con tanta sfacciataggine nella vita, era il tarlo non solo della letteratura, ma della societá italiana, e non ci era e non ci è speranza di vero risorgimento nazionale, finché il sentimento del dovere e la serietá della coscienza non sia una virtú volgale, penetrata nella vita. Era la prima volta che si udiva dalla cattedra un concetto cosí elevato