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i06 | saggio critico sul petrarca |
che la poesía dee rappresentar l’uomo nell’atto dell’azione o della passione, l’uomo nell’esercizio della vita. Pure, in certi tempi e in certe poetiche penetra una ragione superiore che s’intromette anche in mezzo all’azione, con una coscienza d’essa piú o meno chiara. Il che avviene principalmente a quelli che non si lasciano ire alle loro impressioni immediate, ma riflettono, pensano ed esitano, come è il caso del Petrarca. Allora può il poeta — perché dico: può? — è costretto a rappresentare l’azione, come si presenta a lui, in tutto l’ondeggiamento delle impressioni e delle riflessioni, con quel misto di coscienza, d’istinto e di sentimento che fermenta nell’animo. Ma a patto che l’azione e la passione, come in Amleto, rimanga il sostanziale, il fondo della situazione, e che la riflessione ci penetri quasi come una malattia, o, se volete, una qualitá dello spirito. In questo senso la riflessione è altamente tragica e poetica; non è il capriccio o l’impotenza del poeta, ma è obbiettiva, è la natura stessa dell’anima che si vuol rappresentare. A quest’indirizzo appartiene una delle piú notabili delle sue canzoni.1
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I’ vo pensando, e nel pensier m’assale
Una pietá si forte di me stesso.
Che mi conduce spesso.
Ad altro lagrimar ch’i’ non soleva:
Che vedendo ogni giorno il fin piò presso.
Mille fiate ho chieste a Dio quell’ale
Con le quai del mortale
Career nostr’intelletto al ciel si leva;
Ma infin a qui niente mi rileva
Prego o sospiro o lagrimar ch’io faccia:
E cosí per ragion convien che sia;
Che chi possendo star, cadde tra via,
Degno è che mal suo grado a terra -giaccia.
Quelle pietose braccia,
In ch’io mi fido, veggio aperte ancora;
Ma temenza m’accora
Per gli altrui esempi; e del mio stato tremo;
Ch’altri mi sprona, e son forse all’estremo.
L’un pensier parla con la mente, e dice:
Che pur agogni? onde soccorso attendi?
Misera, non intendi