Pagina:De Sanctis, Francesco – Saggio critico sul Petrarca, 1954 – BEIC 1805656.djvu/160

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i54 saggio critico sul petrarca


move tanto profondamente quanto questo sonetto senza lacrima, cupo e fosco. Ma la sua anima tenera non potea lungamente reggere in questa silenziosa consunzione; succede l’alleviamento, lo scoppio delle lagrime, il prorompere di lamenti: «O cameretta!» «o letticciuolo!».

Il carattere proprio di questa malattia morale è quello che i francesi chiamano rêverie, a cui non saprei trovar parola nostra che vi risponda appuntino. L’italiano è vivo, pronto, tutto gesti, a salti e a impeti, espansivo; questo ripiegamento braminico dell’anima in sé, questa immobilitá e tristezza contemplativa, comune al nord, non si affa al nostro genio. Solo inaudite oppressioni e compressioni hanno potuto qualche volta far piegare il capo pensoso al piú vivace popolo del mondo. In bocca del popolo non troverai dunque parola che esprima uno stato di cui non ha esperienza: ben ci ha certi modi di dire, che sotto sopra vi si approssimano, come «pensoso», «pensieroso», «sopra pensiero», il «fantasticare». Ma questo stato è familiare alle nature squisitamente temperate, da Dante sino al Berchet. Dante chiama «fantasia» il suo fantasticare:

                                    Allor lasciai la nuova fantasia,
Chiamando il nome della donna mia.
     
E nessuno ignora le Fantasie del Berchet. Ci si conceda dunque di esprimere con la parola fantasia non solo le cose fantasticate, ma lo stesso fantasticare, e lo stato d’animo che vi corrisponde.

La fantasia differisce dal sogno, perché questo sopprime ancora le condizioni di spazio e di tempo, laddove quella dá agli oggetti tutta l’apparenza della piú precisa realtá. In cambio di quella, che non ha forza di conquistare, il poeta se ne foggia una docile e mobile, a suo talento.

Il carattere delle fantasie del Petrarca è una malinconia piena di grazia. Nella sua anima gentile non entra mai amarezza, rancore, niente di basso o di cupo. Le sue fantasie sono sfogo d’animo troppo pieno, che allevia e scioglie quel non so che di grave e d’amaro che il dolore vi condensa. Fantasti-