Pagina:De Sanctis, Francesco – Saggio critico sul Petrarca, 1954 – BEIC 1805656.djvu/211

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x. trasfigurazione di laura 205


                                         Di me non pianger tu: ch’e’ miei di tersi,
Morendo, eterni; e nell’eterno lume,
Quando mostrai di chiuder, gli occhi apersi.
     
La celeste letizia e la sollecitudine per l’amante è la doppia aureola di Laura. E perché il primo sentimento è sempre alcun che d’astratto e di negativo, riceve dal secondo calore e affetto. Quell’eterna pace è insipida per sé stessa, e ci piace che la sia turbata da un pensiero terreno. Laura sale al cielo; e gli angioli pieni di maraviglia (son. LXXIV):
                                         Che luce è questa, qual nova beltate?
Dicean tra lor; perch’abito si adorno
Dal mondo errante a quest’alto soggiorno
Non sali mai in tutta questa etate.
     
Con buona pace degli angioli, la loro estetica non è fatta per noi; per noi poveri mortali Laura è veramente bella, quando talora volge le spalle agli angeli e guarda se Petrarca la segue:
                                    E parte ad or ad or si volge a tergo,
Mirando s’io la seguo, e par ch’aspetti.
     
Questo desiderio dell’amante nella beatitudine, questo vóto del cuore in paradiso sará poco teologico, ma è umano; né dubito che un pittore non iscelga questo momento, come il piú poetico in tutto il sonetto. La santa «è troppo alta al peso terrestre», come dice il poeta nel sonetto LXI; la cui mediocritá dipende da questo, che l’espressione è sempre negativa, come:
                                         Niente in lei terreno era o mortale,
Siccome a cui del ciel, non d’altro, calse.
     
In lei niente è terreno o mortale, perché in questo sonetto il poeta non ha quella disposizione affettuosa e malinconica, che è la fonte della sua ispirazione; e te ne accorgi anche alla poca