Pagina:De Sanctis, Francesco – Saggio critico sul Petrarca, 1954 – BEIC 1805656.djvu/35

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i. petrarca 29


sa ch’elle non son fatte a quel modo, né, per quanto s’infochi per i suoi fantasmi, si sente ben risoluto a recarli ad atto. Il fantasma è per lui come uno scopo ultimo, nel quale s’appaga; tutto il vario tumulto, che le passioni destano nell’anima, s’acquieta presso di lui in un dolce fantasticare, in un sonetto, in una canzone, in una epistola. Certo, di tutto questo non ha piena e chiara coscienza; e, com’è di tutti gli uomini, s’appassiona per i suoi fantasmi, e studiasi di mandarli ad effetto; ma sente confusamente che non è nato all’opera, ama meglio fantasticare che fare, e fantasticando sfoga il pieno dell’animo. Questa mezza coscienza d’impotenza, questa tanta abbondanza di immaginazione congiunta con si poca virilitá di carattere, ci può spiegare quello che di perplesso e di variabile s’incontra nella sua vita.

Non avea le qualitá della forza, la virtú dell’indignazione, la profonditá dell’odio, la magnanimitá del disprezzo, la santa ira di Dante, le buone e le cattive qualitá delle nature energiche. Gentile, temperato, elegante, facile a sdegnarsi ed a placarsi, inchinevole alla tenerezza, alla malinconia, natura impressionabile e delicata. Ebbe anche le cattive qualitá de’ caratteri deboli. L’orgoglio è la forza, la vanitá è la debolezza. L’ambizione è la forza, la cupidigia è la debolezza. L’emulazione è la forza, l’invidia è la debolezza. Il Petrarca fu vano, cupido, invidioso. Fu vano, si compiaceva delle lodi, e a provocarle era il primo a lodare; faceva la corte a’ principi, e i principi facevano la corte a lui; gli amici lo incensavano, i popoli lo festeggiavano; con un’aria di modestia si lagna spesso di tanti onori che lo perseguono fino nella sua solitudine, compiacendosi però di dirlo e di farlo sapere; l’elogio era la via piú diritta al suo cuore, e sapevanselo i principi, che per questa via mai non ricorrevano invano al Petrarca: serviva d’istrumento, e non se ne avvedeva, e credeva di regolare lui il mondo. Fu cupido di danaro e di onori, difetto di cui s’accusa e si scusa ne’ suoi colloquii con santo Agostino. Salito al pontificato Urbano V, si lamenta con Bruni suo amico di non aver niente ancora ricevuto da lui. E fu satisfatto: piov-