Pagina:De Sanctis, Francesco – Saggio critico sul Petrarca, 1954 – BEIC 1805656.djvu/39

Da Wikisource.

i. petrarca 33


errore di quel tempo. I dotti disprezzavano la lingua italiana come «volgare», e poco degna a’ loro alti concetti, non ostante il grande esempio di Dante. Ed il gusto era ancora cosí grossolano, che i Bonati, i Mussati, i Lovato Lovati, erano tenuti quasi redivivi Orazii e Virgilii. E impossibile scrivere letterariamente in una lingua morta. Perché la vita della parola non è nel suo significato materiale, che solo sopravvive, ma nelle immagini, nelle idee accessorie, in certe fine gradazioni, che sono un sottinteso aggiuntovi dal popolo. Le parole latine giacciono senz’anima, come in un dizionario; hanno perduto la fisonomia e il calore, e né il Petrarca, né nessuno può risuscitarle. Fece un poema, e la natura non gli avea dato fantasia da comporre ed animare un vasto ordito. Nondimeno fu questo il principal titolo della sua incoronazione e della sua fama; i contemporanei salutarono con ammirazione il nuovo Virgilio. Sali tanto alto, che i popoli gli andavano incontro, e lo festeggiavano, acclamato principe della parola e della poesia. E venne in tanta grazia de’ principi, che gareggiavano a tirarlo ciascuno dalla sua. Il Petrarca ebbe il buon senso di rifiutare i carichi politici offertigli da re Roberto, da’ papi, da’ principi, non volendo essere frastornato ne’ suoi studii. Accettava però volentieri legazioni, poco rileva da chi o per che, e divenne il cicerone ambulante dei principi italiani. Traevasi da tutte le parti a sentire il legato che con rimbombo ciceroniano predicava comuni veritá, applauditissimo. Era nell’opinione un Virgilio ed un Cicerone, né gli bastò: imitò altri scrittori latini. Scrisse egloghe, trattati, dialoghi, epistole, sempre in latino. Mutò Petracco, il suo cognome, in Petrarca; mutò i nomi degli amici, che diventarono de’ Socrati e de’ Lelii, e i Socrati e i Lelii con giusto cambio chiamavano lui Cicerone, dando il nome di Tullia alla sua figliuola. Pajono bambinerie: delle quali rideremo meno, quando penseremo ai Bruti ed ai Catoni della Rivoluzione francese. Sono le sublimi follie dell’umanitá; e, quanto a me, amo meglio i tempi pieni di fede e di forza, ne’ quali si può fare di tali follie, che i tempi scettici, ne’ quali se ne può ridere. All’ultimo, scrisse epistole a’ piú illustri dell’anti-


F. de Sanctis, Saggio sul Petrarca.

3