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36 saggio critico sul petrarca


che c’è rimasto, fa giá supporre tutto un ciclo poetico. A quel tempo non ci è ancora propriamente una lingua, ma un misto di latino, di provenzale, di municipale, con una tendenza giá verso quell’unificazione, che fu effettuata in Toscana. Nella poesia di Giulio domina il dialetto siciliano, non senza qua e lá dei versi interi di uno schietto stampo italiano. I sentimenti sono ancora grossolani; vi è rappresentato un Don Giovanni da taverna, che cerca di sedurre ed anche di far forza ad una giovane: l’una degna dell’altro. Nondimeno tu leggi con piacere, perché il dialogo è vivace e ricco di movimenti e situazioni drammatiche. Giá fin da quel tempo, sotto gli auspicii di Federico II, entrava in Corte e nelle classi colte una certa pulitezza di lingua e di sentimenti; e, concorrendo nelle maggiori cittá d’Italia i trovatori provenzali, cominciava a sentirsi la loro presenza nella poesia. A’ rozzi canti popolari seguitò una poesia dotta ed imitatrice; si poetò non secondo l’accento che veniva dal di dentro della nazione, ma secondo certe forme e certi sentimenti di convenzione accattati da’ provenzali.

La donna presso i trovatori è sempre la castellana, che, collocata al di sopra dell’umile cantore, luce di ogni bellezza e di ogni virtú. La castellana divenne presso di noi un tipo di convenzione, lo stesso in tutti, tanto che i poeti non si prendono neppure la pena di dargli un nome: le loro donne sono anonime. Il sentimento del trovatore tiene piú dell’adorazione che dell’amore; vi trovi quella ingenua ammirazione, che si prova innanzi a persone di una classe superiore. Ma ne’ nostri poeti non hai né castellane né classi superiori, e spesso l’amante è collocato piú alto che l’amata; perché l’amante si chiama Enzo, Federico II, Pier delle Vigne, Guido Cavalcanti, e l’amata è talora una forosetta, è l’umile Mandetta. Sicché quel sentimento è trasformato in una specie di adorazione platonica, nella adorazione della donna come donna. Ma, venuto per imitazione, rimane straniero all’anima: non si sente amore, si ragiona dell’amore con metafisica sottigliezza. Questo primo tempo di poesia si può considerare come un utile esercizio di scrivere: la lingua frugata e travagliata da tanti poeti comin-