Pagina:De Sanctis, Francesco – Saggio critico sul Petrarca, 1954 – BEIC 1805656.djvu/45

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ii. il petrarchismo 39


cetti scientifici, affollata di rime nella fine e nel mezzo de’ versi, celebrata tanto a quei tempi, e che non ha neppure quella pulitezza di forme e quella grazia di immagini, che rende amabile il Guinicelli:

                                    Donna mi priega per ch’i’ voglia dire.      

Tale è ancora la canzone, o piuttosto la dissertazione di Dante sulla gentilezza:

                                    Le dolci rime d’amor ch’io solia.      

Con questa tendenza al ragionare congiungono il vezzo delle allegorie. Mettono in iscena divinitá pagane ed anche delle passioni; e si avvezzano a non avere innanzi a sé persone vive, ma semplici personificazioni. Cosi Dante vede in sogno l’Amore:

                                         Allegro mi sembrava Amor, tenendo
Mio core in mano, e nelle braccia avea
Madonna involta in un drappo dormendo.
     Poi la svegliava, e d’esto core ardendo
Lei paventosa umilmente pascea;
Appresso gir ne lo vedea piangendo.
     
É un indovinello, che cercarono di diciferare alcuni dei piú nominati poeti di quel tempo ne’ loro sonetti di risposta, passatempi poetici anzi che poesie.

Un contenuto convenzionale, abuso di dottrina e di personificazione, rozzezza o raffinamento: ecco i difetti di quel tempo.

Il Petrarca non sempre scrive sotto l’impeto del sentimento. E d’altra parte, il genio non è come una moneta, che puoi cavar di saccoccia ad ogni tuo bisogno; e spesso piú ne domandi, e meno ti dá. Il poeta scrive alcuna volta senza ispirazione, senza impulso interiore, scrive perché è uso a scrivere, scrive per mestiere. In questi momenti poco felici, che voi po-