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ii. il petrarchismo 4i


lauro verde, e s’intrattiene a descrivere come d’uomo divenne arbore. Seguono le sue metamorfosi, delle quali ciascuna rappresenta lo stato del suo animo in questa o quella avventura amorosa. Di arbore divien cigno, di cigno sasso, poi fonte, poi eco, all’ultimo cervo:

                                    Ed in un cervo solitario e vago,
Di selva in selva, ratto mi trasformo;
Ed ancor de’ miei can fuggo lo stormo.
     
Cosi finisce questa canzone, tanto celebrata per la sua ingannevole apparenza; perché, se guardiamo alla scorza, è lucente di ornamenti rettorici, con una cotal maestá epica, la quale mette piú in risalto l’insipidezza del fondo. Seria è la forma allegorica, quando è momento storico, quando nel tal tempo si concepisce a quel modo l’astratto, non ci essendo ancora la forza di coglierlo direttamente nella sua intimitá. Per il Petrarca, che rappresenta con tanta possanza il sentimento amoroso, l’allegoria è un’imitazione, una vuota forma letteraria.

Né abusa meno delle personificazioni. Il cuore, il sospiro, il sole sono personificati; la mitologia guasta il sentimento della natura e gli fa esprimere i piú bei fenomeni con forme convenzionali. Vuol descrivere l’apparire del giorno, e comincia con quattro magnifici versi:

                                         Il cantar novo e ’l pianger degli augelli
In sul di fanno risentir le valli,
E ’l mormorar de’ liquidi cristalli
Giú per lucidi freschi rivi e snelli.
     
Ed ecco ficcarsi l’Aurora mitologica a sconciar tutto, ballando e
                                    Pettinando al suo vecchio i bianchi velli1.      


  1. I petrarchisti hanno spinta questa immagine un po’ grottesca ancora piú oltre. Uno dice: oli bifolco d’Anfriso Col voraer della luce arava il Cielo». Costui ha fatto di Apollo un bifolco; un vitro ne fa un carnefice:» Ecco del Cielo il colorato auriga, Febo guerrier, che taglia Con la scure dei raggi il collo all’ombra». Era degno d inventar!a ghigliottina.