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ii. il petrarchismo 45


É lo stesso pensiero esagerato e portato all’assurdo. Non solo esagera i pensieri, ma anche le immagini; ed in questa doppia esagerazione consistono i concetti, giá in voga presso gli spagnuoli e molti trovatori, divenuti celebri per l’abuso fattone nel seicento, e di cui troviamo nel Petrarca frequenti vestigi. Come ne’ pensieri, cosí nelle immagini valica ogni misura; il che gli incontra per lo piú, quando scrive senza dettato interiore. Allora perde quell’aria di semplicitá, quell’accento di veritá, che testimonia l’ispirazione, e ricorre alla rettorica, alle perifrasi, alle amplificazioni, alle metafore, a’ «lumi poetici», come si chiamavano. Per lungo tempo la critica si è avvezza a porre la bellezza della poesia in questo sfoggio di rettorica; ed il buon Muratori, quando non trova quei tali lumi, dice che il sonetto è buono, ben condotto, semplice, naturale, ma: «per me io non ci so veder niente di bello». Questa era anche l’opinione del Petrarca, il quale disprezza certe sue canzoni, come disadorne, e sono tra le sue piú belle, ammirabili di semplicitá e di grazia; il loro peccato è di non aver troppi di quei lumi. La canzone decima:

                                    Se ’l pensier che mi strugge,      
sotto un’apparente leggerezza di vesti cosí grave di contenuto, e qua e lá cosí appassionata e graziosa, ha questa chiusa:
                                         O poverella mia, come se’ rozza!
Credo che tei conoschi:
Rimanti in questi boschi.
     
Che piú? la canzone seguente:
                                    Chiare, fresche e dolci acque,      
che per consenso di tutti è giudicata la bellissima delle sue poesie, è da lui cosí bruscamente e crudelmente accomiatata:
                                         Se tu avessi ornamenti quant’hai voglia.
Potresti arditamente
Uscir del bosco e gir infra ia gente.