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iv. laura e petrarca | 77 |
essere che stia da sé; è per il Petrarca e col Petrarca. Per uno sforzo d’astrazione abbiamo potuto scompagnamela, abbiamo potuto interrogarla: — Chi sei? — . Ed abbiamo ottenuto il concetto e la forma astratta di Laura. Ma quelle forme sono intimamente legate con le illusioni e i sentimenti che svegliano; ma queste illusioni e questi sentimenti sono una parte della vita di Laura. La vita di Dio è non pure quello che fa, ma piú quello che fa pensare e sentire e fare all’uomo. Perciò nello spirito del lettore non ci è mai una Laura, o, se ci è, sará fratto di una riflessione posteriore. Nello spirito del lettore, ci è Laura, come sembra al Petrarca, e come opera su di lui; tutto è subbiettivo e Urico. Le chiome d’oro, la luce degli occhi, il suo andare, voi lo vedete in correlazione con le impressioni dell’amante, nelle quali è il principale interesse. Erano passati quindici anni, e Laura non era piú quella, e gli amici si maravighavano come il poeta l’amasse ancora con la stessa tenacitá. — E vero, risponde il poeta, i suoi occhi sono scarsi di luce: forse non è piú tale: ma che fa?
Piaga per allentar d’arco non sana. |
Erano i capei d’oro a l’aura sparsi, Che ’n mille dolci nodi gli avvolgea; E ’l vago lume oltra misura ardea Di quei begli occhi, ch’or ne son si scarsi; E ’l viso di pietosi color farsi. Non so se vero o falso, mi parea: I’ che l’esca amorosa al petto avea, Qual maraviglia se di subit’arsi? Non era l’andar suo cosa mortale, Ma d’angelica forma; e le parole Sonavan altro che pur voce umana. Uno spirto celeste, un vivo sole Fu quel ch’i’ vidi; e se non fosse or tale, Piaga per allentar d’arco non sana. |