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80 saggio critico sul petrarca


chiama con amorosa superstizione Beatrice. I contorni del suo amore sono perfettamente disegnati.

Il Petrarca ondeggia. Ora s’applaude del suo amore, ne benedice tutte le circostanze, il giorno e il mese e l’anno (son. XXXIX), e la stagione e il tempo e l’ora e il punto e il bel paese, e il loco, e il primo dolce affanno, e l’arco e le saette e i sospiri e le lagrime, si promette d’amar sempre, chiama il suo amore onesto, esalta l’onestá dell’amata, la ringrazia di tutto il bene che gli ha fatto, d’averlo reso singolare dall’altra gente, amante della virtú e della gloria. Ora maledice al suo amore, deplora il tempo perduto «tra le vane speranze e il van timore», s’indispettisce contro Laura, la chiama superba, l’accusa di civetteria, se la prende con gli specchi consumati da lei, suoi rivali, opera del demonio. Su questa china giunge fino a Guittone; l’amore diventa voglia bassa, cioè la carne o il peccato nel senso cattolico, a cui contrappone la ragione:

                                         La voglia e la ragion combattut’hanno
Quattordici anni; e vincerá il migliore,
S’anime son quaggiú del ben presaghe.
     
Altre volte non è cosí sicuro;
                                    Qual vincerá, non so: ma infino ad ora
Combattut’hanno, e non pur una volta.
     

Fra questi due estremi trovi una grande varietá di gradazioni, che rendono intelligibile il passaggio dall’uno all’altro. Nello stato tranquillo dell’animo il poeta è disposto a rappresentare il suo amore come affatto poetico e platonico, come un omaggio d’ammirazione e di riconoscenza alle virtú di Laura e a’ beneficii che gliene sono venuti. In questa via incontri sonetti di lodi e di ringraziamento, complimenti galanti e spiritosi: stato di contentezza interiore, che dallo scherzo e dalla galanteria s’eleva talora ad una effusione di gioja, ad un esaltamento d’immaginazione che tocca quasi l’en-