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90 saggio critico sul petrarca


spesso, mentre la parola ti dá l’immagine, la melodia te ne dá il sentimento, quasi testo e musica. Non vuole solamente che la forma sia bella per rispetto alla materia, ma che la sia bella in sé stessa. Ha l’idolatria della parola, non pur come espressione dell’idea, ma staccata, presa in sé come suono, attentissimo a sceverare le parole nobili dalle plebee, le poetiche dalle prosaiche, ed esprimer tutto con forbitezza ed eleganza, come un nobil signore che, anche a dir cose volgari, non dimentica il frasario dei suoi pari. Mai non puoi coglierlo in veste da camera; mai non ti viene innanzi che in guanti gialli e in cravatta bianca. Le sue parole son tutte col blasone, tutte pietre preziose; i suoi versi, prima di giungere all’anima, si trattengono deliziosamente nell’orecchio. E poiché la forma operaimmediatamente sui lettori, non è maraviglia che tanta perfezion tecnica abbia da prima generato un culto superstizioso per il Petrarca, tenuto per lungo tempo il direttore del gusto pubblico. Quella bella forma fu staccata dal suo fondo, lavorata in sé stessa, insino a che, fatta indifferente al contenuto, si esalò in una vuota sonoritá. Ne nacque un gusto fattizio, fondato sopra quattro parole, che per lungo spazio hanno tiranneggiato in Italia: puritá, dignitá, eleganza e sonoritá. Qui è tutta l’arte poetica, qui è il succo dell’arte dello scrivere professata anche oggi da parecchi critici e scrittori sotto il nome di stile letterario.

Non ci è poesia del Petrarca di si poco momento, che per la parte tecnica non sia lavorata con l’ultima finitezza; fino le sue trivialitá e le assurditá hanno addosso un manto di porpora. Il quale in un fondo povero si stacca con tanto piú di pretensione: sicché i critici, ponendo non nella persona, ma nel vestito l’eccellenza dell’arte, hanno giudicate ottime alcune delle sue poesie manifestamente insipide o assurde. Nella canzone delle metamorfosi, di cui v’ho toccato innanzi, un tessuto d’allegorie senza succo e senza sale, sentite con tanto piú di forza all’orecchio il rimbombo del verso, ed i critici allo strepito batton le mani. Vuol dire che, trasformato in eco, andò errando e piangendo: