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Boccacci si moltiplicano: l’impulso dato da lui e dal Petrarca diviene una febbre o, per dir meglio, quella tale corrente elettrica che in certi momenti investe tutta una societá e la riempie dello stesso spirito. Quella stessa attivitá, che gittava l’Europa crociata in Palestina e piú tardi, spingendola verso le Indie, le fará trovare l’America, tira ora gl’italiani a disseppellire il mondo civile, rimasto per cosi lungo tempo sotto le ceneri della barbarie. Quella lingua era la lingua loro, e quel sapere era il loro sapere: agl’italiani pareva avere racquistato la conoscenza e il possesso di se stessi, essere rinati alla civiltá. E la nuova èra fu chiamata il «Rinascimento». Né questo era un sentimento che sorgeva improvviso. Per lunga tradizione Roma era capitale del mondo, gli stranieri erano barbari, gl’italiani erano sempre gli antichi romani, erano sangue latino, e la loro lingua era il latino, e la loro lingua parlata era chiamata il «latino volgare», un latino usato dal volgo. Questo sentimento, legato in Dante con le sue opinioni ghibelline, ispirava piú tardi l’Africa e latinizzava anche le facezie del Boccaccio. Ora diviene il sentimento di tutti e dá la sua impronta al secolo. La storia ricorda con gratitudine gli Aurispi, i Guarini, i Filelfi, i Bracciolini, che furono i Colombi di questo mondo nuovo. Gli scopritori sono insieme professori e scrittori. Dopo le lunghe peregrinazioni in Oriente e in Occidente, vengono le letture, i comenti, le traduzioni. Il latino è giá cosi diffuso, che i classici greci si volgono in latino perché se ne abbia notizia, come i dugentisti volgevano in volgare i latini. Pullulano latinisti e grecisti: la passione invade anche le donne. Grande stimolo è non solo la fama, ma il guadagno. Diffusa la coltura, i letterati moltiplicano e si stringono intorno alle corti e si disputano i rilievi ringhiando. Sorgono centri letterari nelle grandi cittá: a Roma, a Napoli, a Firenze; piú tardi a Ferrara, intorno agli Estensi. E quei centri si organizzano e diventano accademie. Sorge la pontaniana a Napoli, l’accademia platonica a Firenze, quella di Pomponio Leto e di Platina a Roma. Illustri greci, caduta Costantinopoli, traggono a Firenze. Gemistio spiega Platone a’ mercatanti fiorentini. Marsilio Ficino, il traduttore di Platone, lo predica dal pulpito,