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xviii - marino | 205 |
tu spiegherai ne’ crini e ne le foglie la sua livrea dorata e fiammeggiante; e per ritrarlo ed imitarlo a pieno, porterai sempre un picciol sole in seno. |
Evidentemente, qui non ci è il sentimento della natura e non la schietta impressione della rosa. Hai combinazioni astratte e arbitrarie dello spirito, cavate da simiglianze accidentali ed esterne, che adulterano e falsificano le forme naturali, e creano enti mostruosi che hanno esistenza solo nello spirito. La vita pastorale giá nel Tasso ha i suoi ricami, che però fregiano, forse un po’ troppo, ma non adulterano gli oggetti e i sentimenti. Ed anche l’Adone ha il suo «pastore», che vuole imitare, anzi oltrepassare il «pastore» di Erminia, e conchiude cosi:
Lunge da’ fasti ambiziosi e vani, m’ è scettro il mio baston, porpora il vello, ambrosia il latte, a cui le proprie mani scusano coppa, e nettare il ruscello: son ministri i bifolci, amici i cani, sergente il toro e cortigian l’agnello, musici gli augelletti e l’aure e Tonde, piume l’erbette e padiglion le fronde. |
Queste lambiccature e finezze di spirito egli le chiama in una sua lettera a Claudio Achillini «ricchezze di concetti preziosi», e ivi pone l’eccellenza della poesia:
È del poeta il fin la maraviglia: parlo dell’eccellente e non del goffo; chi non sa far stupir, vada alla striglia. |
La novitá e la maraviglia non è nel repertorio, che è vecchissimo ; un rimpasto di elementi e motivi per lungo uso divenuti ottusi. Ciò che è ripulito e messo a nuovo è lo scenario, o lo spettacolo, vecchio anch’esso, ma lustrato e inverniciato. Il qual lustro gli viene non dalla sua intima personalitá piú profondamente esplorata o sentita, ma da combinazioni puramente soggettive, ispirate da simiglianze o dissonanze accidentali, e perciò tendenti al paradosso e all’assurdo ; di che nasce quello