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DELLE DONNE 57

egli spinge l'imparzialità fino al punto di annoverare fra le illustri più d'una, in cui la nobiltà dell'ingegno rifulse non ostante la corruttela del costume. Così, per esempio, egli decanta l'ingegno di Leona meretrice, e persino della Papessa Giovanna. Non è a dire che Boccaccio sia del tutto scevro da volgari pregiudizi intorno alla inferiorità del sesso femminile, ma neppure si può dire che egli pensi veramente a quel modo. Piuttosto egli non osa dichiarare a parole il suo dissenso, e fors'anche egli non ha approfondito le ragioni che gli impedivano di dividere i pregiudizi del volgo.

Egli dice, per esempio, nel proemio, che quasi tutte le donne hanno ingegno tardo, la quale proposizione avrebbe potuto condurlo a indagare se sia veramente possibile una legge di natura accompagnata da tante eccezioni, ed a scorgere che quella possibilità non esiste. Ed altrove (Vita di Veturia Romana) egli biasima il Senato romano di avere in onore di Veturia accordato alle donne il diritto di ereditare, e chiama dannoso tal costume durato tanti secoli, ma subito dopo riconosce che se di tal diritto rimasero le donne per tanto tempo rivestite, ciò ebbe per cagione l'essersene dimostrate meritevoli. Del resto i fatti valgono più delle parole, e appunto il fatto di avere primo tentato una storia delle donne illustri, dimostra che il Boccaccio aveva non solo un'alta stima delle attitudini del sesso femminile e dei meriti suoi verso la civiltà, ma che in questa opinione egli non metteva le donne molto al disotto degli uomini. E questa sua imparzialità appare chiaramente dalle stesse parole del proemio, dove il Boccaccio, dopo avere constatato che molti scrittori misero in onore le gesta degli uomini illustri, afferma: «mi sono maravigliato molto, così poco appresso questi tali huomini aver potuto le donne, che non habbiano conseguito alcuna gratia di memoria in nessuna particolar descrittione, veggendosi chiaramente per amplissime historie, molte così valorosamente come fortemente