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106 | del rinnovamento civile d’italia |
e Orazio «volante» 1. I cattivi diari non hanno pur la fortuna di morir cogli autori, come il Cassio oraziano:
. . . capsis quem fama est esse librisque |
e però gli uomini di gran levatura non ci badano. Il Leopardi se ne rideva; e l’Alfieri chiama l’opera loro una «rispettabile arte, che biasima o loda con eguale discernimento equitá e dottrina, secondo che il giornalista è stato prima o donato e vezzeggiato, o ignorato e sprezzato»3. L’arma migliore contro le loro ingiurie è la noncuranza. Ne sei malmenato? non riscrivere. Il tuo silenzio accrescerá la stizza degl’ingiuriosi e fará le tue vendette: poi, vedendo che gridano invano, si stancheranno. Rispondi solo in caso che l’onor tuo assolutamente il richiegga, ricordandoti le parole di Cremuzio Cordo: «Spreta exolescunt: si irascare, adgnita videntur»4.
I giornali son come i preti e i poeti: non possono esser buoni se sono troppi. Non giá che si debba scemare la copia degl’idonei compilatori, ma si riunire e quasi concentrare la loro opera, onde ogni opinione abbia un solo interprete, che riuscirá tanto migliore quanto avrá il concorso di un maggior numero di valorosi5. Ma siccome la dottrina e l’ingegno non bastano, alla moralitá dei giornali ricercasi il pudore di chi gli scrive. L’assemblea nazionale di Parigi non è guari statuiva6 che gli articolisti debbano soscriversi. Fu notato che a questa legge, vivamente combattuta dai fogli corrotti e faziosi, che amano di tirare il sasso nascondendo la mano, i generosi e liberi fecero miglior viso, e che alcuni chiari nomi, come Giacomo Coste ed Emilio Littré, l’approvarono. Io non l’approvo, perché reputo inconvenienti anco le leggi utili quando non son