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Pagina:Gioberti - Del rinnovamento civile d'Italia, vol. 3, 1912 - BEIC 1833665.djvu/147

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libro secondo - capitolo ottavo 141


lasciando che altri piaccia alla moltitudine e sia affogato dalle lodi. Terzo, delle critiche, delle maldicenze, delle ingiurie, dei disprezzi, delle persecuzioni ingiuste, fa’ quel conto che fai delle cose che non sono: delle giuste non ti affliggere piú che dell’averle meritate. Quarto, gli uomini piú grandi e piú famosi di te, non che invidiarli, stimali e lodali a tuo potere, e inoltre amali sinceramente e gagliardamente»1. Cosí sentiva il Leopardi; e governandosi con questa norma, potea sciamare senza rimorso: «Non voglio vivere tra la turba: la mediocritá mi fa una paura mortale; ma io voglio alzarmi e farmi grande ed eterno coll’ingegno e collo studio»2. E non aveva che diciannove anni. Giovani italiani, non vorrete imitarlo? vorrete vegetare e morire oscuri e dimenticati? o anteporrete alla vera gloria la glorietta3 e la vanitá volgare? e l’aura presente alla fama degli avvenire? o crederete di coonestare colle voluttá, colle ricchezze, colle cariche, coi ciondoli, la vostra ignavia?4.

                                       .  .  .  .  Quae digna legi sint
scripturus, neque te ut miretur turba, labores,
contentus paucis lectoribus5.

Ma siccome il fine del pensiero è l’azione, e che non è dato a niuno di scrivere cose grandi se non intende a farne; cosí la gloria che ricaverete dalle lettere nascerá dal mirare a quella molto maggiore che dalle opere si raccoglie. Ora tenete per fermo che né degna lode né rinomanza durevole si può oggi ottenere da niuno, altrimenti che abbracciando e promovendo sapientemente la causa delle nazioni, delle plebi e dell’ingegno, come quella che compendia tutti i voti del secolo e tutte le speranze della civiltá moderna. Fuori di questo giro ogni riputazione e celebritá è borra, senza escludere eziandio quelle dei



  1. Leopardi, Epistolario, t. i, p. 70.
  2. Ibid., p. 57.
  3. Alfieri, Del principe e delle lettere, i, 6.
  4. «Clamorem vagum et voces inanes» (Tac., De orat., 9). «Ut nomine magnifico segue otium velaret» (Id., Hist., lv, 5).
  5. Hor., Sat., i, i0, 72, 73, 74.