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porti!) confermerebbe il ritratto poco lusinghiero che n’esce dalle pagine del Casanova. Lo Zanetti invece negli Annali (1766) scrive di lui: «Fu ministro cortese, probo, liberale, amatore delle buone arti, e particolarmente della pittura, e generalmente ben voluto». Intenditore di quadri, il Murray ne faceva incetta e si gloriava di possedere «sette Tiziani» (Meschini, Della Letteratura veneziana del sec. XVIII. Venezia, 1806, vol. III, p. 51). Più tardi, dal 1766 al 1778, fu ambasciatore a Costantinopoli e morì in quell’anno a Venezia. (Per il Murray cfr. pure Giacomo Casanova e l’abate Chiari [Archivio Veneto, XXI, p. I], di Aldo Ravà, a cui ci professiamo grati anche d’altre gentili comunicazioni in argomento).

Vero, altissimo pregio della lettera di dedica è nella coraggiosa critica fatta alle unità, contro le quali era già mosso in guerra otto anni prima (Commedie, Venezia, Bettinelli, 1750, vol. I, p. 14) precorrendo così la lettera del Metastasio al Calzabigi che è del 1754. Deride ivi il Goldoni gli «adoratori d’ogni antichità» e briosamente li paragona a medici che non volessero usare la china «per questa sola ragione che Ippocrate o Galeno non l’hanno adoperata». L’arguto esame della famosa questione, compiuto dal Goldoni in questa dedicatoria, avrebbe potuto servire allo stesso Baretti nella polemica col Voltaire, se la sua visione dell’opera goldoniana fosse stata anche un solo momento oggettiva. Anche della commedia stessa (atto 2°, sc. VII e XII) - avverte giustamente il Concari (Il settecento. Milano, 1899, p. 132) - avrebbe dovuto tener conto l’autore della Frusta. Ottime pagine sull’importanza di questa lettera al Murray scrisse Achille Neri (Aneddoti goldoniani, Ancona, 1883, pp. 11-20). Tutto il passo sulle unità è riferito nello studio dello Scherillo, già citato, con questa giusta lode: «Io non so di altri che, prima della lettera del Manzoni allo Chauvet (per non dir pure delle saporite stanze di Carlo Porta), parlasse in Italia su questo argomento con uguale precisione, giustezza, buonsenso e coraggio». Ma perchè lo Scherillo aggiunge: «fu un vero peccato che quest’ultimo gli venisse poi meno, così da non fargli pubblicar più nelle edizioni posteriori dei Malcontenti la lettera al Murray»? (studio cit., pp. 231, 232). Di edizioni con premesse e dediche, volute e curate dall’autore, dopo quella del Pitteri non vi ha che la Pasquali. In essa, quando rimase interrotta al diciassettesimo tomo, delle quaranta commedie edite dal Pitteri non erano passate che sole tredici. Più fondato poteva esser l’appunto dello Scherillo se avesse accennato invece a quanto sulle unità scrivono le Memorie (P. II, cap. III). Li non è più parola di ingiuriosi legami, né di ragioni ridicole. Il Goldoni si mostra assai più misurato nell’affermare e nel ribattere: riserbo impostogli dal paese e dall’ambiente letterario in cui viveva.

E. M.



I Malcontenti uscirono per la prima volta a stampa nel t. IV dell’ed. Pitteri di Venezia, l’anno 1758; e furono nuovamente impressi a Bologna (a S. Tomaso d’Aquino, 1758), a Torino (Guibert e Orgeas VII. ’75), a Venezia (Savioli III, ’72; Zatta, cl. Ia, VII, ’89; Garbo VII. ’95), a Livorno (Masi XX. ’91), a Lucca (Bonsignori XVI. ’89) e forse altrove nel Settecento. Non si trovano nell’ed. Pasquali. - La presente ristampa seguì principalmente il testo dell’ed. Pitteri, corretto dall’autore. Valgono le avvertenze solite.