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18 | quaderno i (xvi) |
§ ⟨24⟩. I nipotini del padre Bresciani. Esame di una parte cospicua della letteratura narrativa italiana, specialmente di questo ultimo decennio. La preistoria del Brescianesimo moderno: 1°) Antonio Beltramelli, con gli Uomini Rossi, Il Cavalier Mostardo ecc.!; 2°) Polifilo (Luca Beltrami), con le diverse storie su Casate Olona*; 3°) la letteratura abbastanza vasta, più tecnicamente di «sagrestia», in generale poco conosciuta e studiata, nella quale il carattere propagandistico è apertamente confessato. A mezza ❘11 strada tra la letteratura di sagrestia e il brescianesimo laico sono i romanzi di Giuseppe Molteni, dei quali conosco solo l’Ateo. L’aberrazione morale di questo libro è tipica: in esso si riflette lo scandalo Don Riva — suor Fumagalli*. L’autore giunge fino ad affermare che [appunto] data la sua qualità di prete, legato al voto di castità, bisogna compatire Don Riva (che ha violentato e contagiato una trentina di bambine) e crede che a questo massacro possa essere contrapposto, come moralmente equivalente, il volgare, adulterio di un socialista ateo. Il Molteni è un uomo molto noto nel mondo clericale: è stato critico letterario e articolista di tutta una serie di quotidiani e di periodici cattolici.
Il Brescianesimo laico assume una certa importanza nel dopoguerra e va sempre più diventando la «scuola» letteraria preminente e ufficiale.
Ugo Ojetti, Mio figlio ferroviere*. Caratteristiche generali della letteratura di Ojetti. Suoi diversi atteggiamenti ideologici. Scritti su Ojetti di Giovanni Ansaldo nelle riviste dove l’Ansaldo collaborava*. Ma la manifestazione più tipica di Ugo Ojetti è la sua lettera aperta al padre Rosa, pubblicata nel «Pègaso» e riprodotta nella «Civiltà Cattolica» col commento del padre Rosa*. L’Ojetti dopo l’annunzio della avvenuta conciliazione tra Stato e Chiesa non solo era persuaso che ormai tutte le manifestazioni intellettuali italiane sarebbero state controllate secondo uno stretto conformismo cattolico e clericale, ma si era già adattato a questa idea, e si rivolgeva al padre Rosa con uno stile untuosamente adulatorio delle benemerenze culturali della Compagnia di Gesù per impetrare una «giusta» libertà artistica. Non si può dire, alla luce degli avvenimenti posteriori (discorsi del capo del governo) se sia più abbietta la pro❘11 bisstrazione dell’Ojetti o più comica la sicura baldanza del padre Rosa, che in ogni caso dava una lezione di carattere all’Ojetti, al modo dei gesuiti, già si intende. Il caso Ojetti è stato tipico da più punti di vista: ma la codardia intellettuale dell’uomo eccelle su tutto.
Alfredo Panzini — già nella preistoria con qualche brano della La lanterna di Diogene (l’episodio del livido acciaro per esempio) -, Il padrone sono me, Il mondo è rotondo* e quasi tutti i libri dell’ultimo decennio. Sul recente I giorni del sole e del grano vedi giudizio di F. Palazzi già annotato*. Nella Vita di Cavour un accenno al padre Bresciani veramente strabiliante*. Tutta la letteratura pseudo-storica del Panzini è da riesaminare dal punto di vista del Brescianesimo lai-