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Pagina:Leopardi, Giacomo – Canti, 1938 – BEIC 1857225.djvu/177

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dediche, notizie, annotazioni 171

[II]

[Dedica della canzone Ad Angelo Mai, nell’ediz. Marsigli, Bologna, 1820.]

Giacomo Leopardi

al conte Leonardo Trissino

Voi per animarmi a scrivere mi solete ricordare che la storia de’ nostri tempi non dará lode agl’italiani altro che nelle lettere e nelle scolture. Ma eziandio nelle lettere siamo fatti servi e tributari; e io non vedo in che pregio ne dovremo esser tenuti dai posteri, considerando che la facoltá dell’immaginare e del ritrovare è spenta in Italia, ancorché gli stranieri ce l’attribuiscano tuttavia come nostra speciale e primaria qualitá, ed è secca ogni vena di affetto e di vera eloquenza. E contuttociò quello che gli antichi adoperavano in luogo di passatempo, a noi resta in luogo di affare. Sicché diamoci alle lettere quanto portano le nostre forze, e applichiamo l’ingegno a dilettare colle parole, giacché la fortuna ci toglie il giovare co’ fatti com’era usanza di qualunque de’ nostri maggiori volse l’animo alla gloria. E voi non isdegnate questi pochi versi ch’io vi mando. Ma ricordatevi ch’ai disgraziati si conviene il vestire a lutto, ed è forza che le nostre canzoni rassomiglino ai versi funebri. Diceva il Petrarca, «ed io son un di quei che ’l pianger giova». Io non posso dir questo, perché il piangere non è inclinazione mia propria, ma necessitá de’ tempi e volere della fortuna.